Taranto, un futuro migliore è possibile. Basta volerlo

9 Settembre 2014 /

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Ilva - Foto di Antonio Sepranodi Antonia Battaglia
Se si vive a Taranto, si ha la netta sensazione di abitare in uno spazio e in un tempo staccati dal resto del Paese e del mondo. La ragione di questo sentimento, misto di solitudine, desolazione, rabbia e voglia di rompere tutto, nasce non solo dalla mancata risoluzione dell’eterna questione ambientale, ma anche da un generale e reale disinteressamento alle sorti della città, al suo futuro da parte di tutte le Entità istituzionali e sociali: governo, Stato, Regione, Comune, partiti, sindacati.
Su cosa si basa una società? Secondo buona parte della filosofia, le sue fondamenta dovrebbero ispirarsi ai concetti di giusto e di bene, il che comporterebbe, riferendosi a Taranto, che lo Stato dovrebbe intervenire per mettere fine allo status quo, sia nell’ipotesi che esso agisse in chiave utilitaristica (Sidgwick, priorità del bene sul giusto e raggiungimento del bene come felicità generale), sia nell’ipotesi che agisse in chiave puramente razionalistica (Kant, ciò che è giusto è dettato dalla ragione e la giustizia nella società dipende da scelte politiche esclusivamente ispirate dalla ragione e finalizzate al giusto).
Da qualunque parti la si studi, la vicenda Taranto è chiara: lo Stato lascia fare al Governo, che lascia fare alla Regione, che lascia fare al Comune e tutti aspettano che ipotetici Arcelor Mittal li salvino da questo annoso problema, che vogliono far credere irrisolvibile. Volendo fare sforzo di astrazione, far finta di non essere tarantini per qualche istante, per osservare la questione dal di fuori, la conclusione è sempre la stessa: manca la volontà politica di cambiare e di dare alla città un futuro diverso.

I fatti ci dicono che l’Ilva continua ad immettere nell’ambiente, nell’aria, nell’acqua, e soprattutto nel corpo degli essere umani, quantità molto importanti di diversi inquinanti, di sostanze pericolose non solo a lungo, ma anche a breve termine. Un’associazione ambientalista si fa carico di realizzare il calcolo matematico dei valori di IPA (idrocarburi policiclici aromatici, sostanze potenzialmente cancerogene) rilasciati dall’Ilva e registrati da Arpa Puglia, ma viene accusata, per il solo fatto di aver reso pubblici i dati Arpa (che sono già pubblici) di terrorismo sociale. Il Presidente della Regione ignora la questione, ma non perde mai occasione di twittare messaggi pieni di cordoglio, speranza e umanità relativi a vari conflitti che accadono nel pianeta e che smuovono il suo animo. A Taranto i bambini muoiono e si ammalano in percentuali molto più alte del resto della Puglia e dell’Italia (lo dice l’aggiornamento dello Studio Sentieri), ma per questo non c’è stato nessun tweet.
Taranto potrebbe avere un futuro migliore se solo riuscisse a liberarsi della classe politica attuale, a rinnovarla profondamente e a continuare e consolidare quel lavoro di cittadinanza attiva che è portato avanti da gruppi di cittadini. Gruppi, associazioni che sono già andati in Europa a chiedere giustizia e a esigere che le violazioni al diritto europeo in materia ambientale fossero prese nella dovuta considerazione dalla Commissione Europea, la quale ha lanciato due procedure contro l’Italia. E la questione l’hanno portata direttamente al Parlamento Europeo (data del 5 settembre 2014 l’ultima lettera scritta al Presidente Schulz).
Studiare, cercare le opportunità per creare una Taranto diversa, appellandosi al diritto europeo e puntando all’utilizzo dei fondi strutturali che potrebbero fare la differenza per la città. Fondi che, utilizzati in modo intelligente e nell’interesse del bene comune, rappresenterebbero il toccasana per Taranto così come per altre città del Sud d’Italia. Ingenti risorse, miliardi di euro, sono state perse a causa dell’impreparazione e della mancanza di un’adeguata visione strategica di livello. Il nepotismo, la sciatteria politica e la corruzione hanno fatto si che posizioni chiave per lo sviluppo del Paese fossero occupate da persone inadeguate. Su grande scala, dieci dirigenti a Roma che non sanno come far arrivare miliardi di fondi europei al Sud penalizzano milioni di persone. Dieci eurodeputati che si occupano solo di garantire gli interessi delle lobbies e non quelli dei popoli che rappresentano, decretano un futuro mediocre per altrettanti milioni di persone.
Gli strumenti di macro-progettazione europea, come il Fondo Sociale Europeo, per citarne uno, con i quali le Istituzioni di Bruxelles aiutano gli Stati Membri a realizzare progetti per le aree più svantaggiate dell’Unione, sono disponibili fin dalla nascita dell’Unione Europea. Per la Puglia, 5.2 miliardi di euro per il periodo 2007-2013 (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale). Ma se si consultano i progetti che sono stati realizzati, ci si rende conto che di questi fondi ne è stata utilizzata solo una parte, il resto avrebbe potuto costituire una grande risorsa per Taranto se opportunamente canalizzato all’interno di un ampio progetto strategico.
Peacelink ha proposto un piano di rilancio alternativo per la città, sostituendosi ai partiti, di Governo e non, che sembrano aver perso la bussola oltre che la memoria degli ideali che hanno fatto la storia di questo Paese. Che non hanno preso ancora coscienza di quella che Rifkin chiama la “terza rivoluzione industriale”, già in atto in diversi paesi.
L’obiettivo della lettera inviata al Presidente Schulz è rivoluzionario. Esso consiste nella possibilità che le Istituzioni Europee accettino di farsi interpreti del cambiamento già effettivo nella società, cioè che cittadini e associazioni, con formazione ed esperienza adeguate, possano diventare attori di primo piano nelle decisioni fondamentali della politica comunitaria ed in particolare per quanto riguarda la progettazione dei fondi strutturali e la relativa allocazione.
Alla luce della Risoluzione del Parlamento Europeo del 21 maggio 2013, sulle strategie regionali per le aree industriali dell’Unione Europea, un “piano di azione” per Taranto, portato avanti con le Istituzioni Europee, potrebbe promuovere un cambiamento strategico fondamentale per la riconversione di un’area industriale in declino.
Abbiamo immaginato le alternative, basate sulle specificità locali, ma c’è necessità del supporto europeo. Non c’è miglior laboratorio in Europa che la città di Taranto, simbolo del fallimento della politica.
Abbiamo un piano per la riconversione, con nuovi investimenti, per un cambiamento radicale che possa trasformare la situazione disperata che viviamo in una grande opportunità per il futuro. Tale piano, incentrato su alcuni punti cardine, potrebbe essere presentato alla Commissione entrante, e potrebbe essere realizzato con lo strumento dei diversi fondi europei esistenti. Molti traguardi e finalità in gioco sarebbero realizzati in contemporanea: ambiente, salute, energia, riconversione economica, coesione sociale, governance degli Stati Membri, diritti umani dei cittadini dell’Unione.
Taranto rappresenta l’emblema della sfida che l’Europa sta affrontando in merito alla coesione sociale e alla partecipazione di tutte le regioni alla vita democratica dell’Unione. Come altre città del Sud, già oggetto di programmi per il rafforzamento dell’uguaglianza sociale, promossi dalla scorsa Commissione, Taranto potrebbe diventare il laboratorio perfetto.
La mancanza d’investimenti per rendere l’Ilva compatibile con la salute dei cittadini e con l’ambiente, al contrario di quanto è stato fatto ad esempio in Austria, a Linz, ha generato problemi di portata talmente rilevante da non poter consentire altro che la dismissione degli impianti e la bonifica generale del sito e delle zone limitrofe. Lo stabilimento è obsoleto e produce acciaio in violazione del permesso AIA, come stabilito dalle diverse leggi ad hoc varate dal Parlamento Italiano negli ultimi anni.
L’attuale crisi economica mondiale, che ha determinato un eccesso di capacità produttiva nel campo siderurgico, ha rinforzato la posizione sul mercato di quei gruppi che hanno realizzato nel tempo gli investimenti necessari per adeguare gli impianti alle più moderne tecnologie: Corex, Finex, Meros. In Austria, in Germania, si riesce da decenni a produrre acciaio nel più completo rispetto della salute umana e dell’ambiente.
La situazione dell’impianto ILVA di Taranto è fortemente compromessa dal punto di vista strutturale e un adeguamento degli impianti a quelle tecnologie applicate altrove richiederebbe investimenti troppo importanti. Bisognerebbe radere al suolo gli impianti e crearne di nuovi.
Un nuovo modello di sviluppo non può che prender vita da un programma, basato su assets già presenti nella realtà locale quali strutture portuali, competenze nel campo della meccanica, della ricerca, dell’elettronica, dell’informatica, delle energie rinnovabili, del turismo e delle attività marinare e agroalimentari.
La città di Taranto può essere oggetto di una riconversione industriale centrata sulla diversificazione per creare un tessuto industriale alternativo alla monocoltura siderurgica e alle cattedrali, capace di assicurare impiego ad un numero addirittura maggiore di persone.
Il porto, da riconvertire rispetto ai suoi servizi. Che diventi piattaforma internazionale per commerci, logistica, turismo, diportismo, nautica, etc; attrattore privilegiato e insediamento di imprese artigianali, manifatturiere export-oriented e di aziende estere orientate al mercato italiano. Che si lavori all’acquisizione di rotte navali aperte ad altre regioni italiane, ai paesi del Mediterraneo, del Medio e dell’Estremo Oriente.
L’aeroporto, de insediare nel bacino occidentale, baricentro delle aree contigue di tre regioni: Puglia, Basilicata e Calabria, in sofferenza rispetto al trasporto aereo e in grande fermento economico nei settori del turismo, dell’agricoltura, dell’artigianato. L’aeroporto di Grottaglie resterebbe al servizio della grande industria aerospaziale già presente, da sviluppare quale centro nevralgico della ricerca e della sperimentazione del settore.
Opportunità possibili con le Nazioni Unite. Cosi come avviene già per Brindisi, Taranto, provvista di un porto attrezzato e di un aeroporto, potrebbe assumere un ruolo importante nella logistica delle Nazioni Unite, per lo smistamento e il trasporto di materiali, mezzi e merci verso le missioni, i centri, gli uffici del sistema Onu in Africa, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Le competenze acquisite nel campo della meccanica, della chimica e dell’elettronica, maturate con la presenza delle grandi industrie, diventerebbero il fulcro per la nascita di nuove imprese in questi specifici settori così come in quelli delle energie rinnovabili.
Altrettanto importanti i settori delle attività marinare e agroalimentari, per le quali sviluppare iniziative di filiera (produzione, conservazione e vendita di prodotti locali), insieme alla creazione di strutture per la coltura, la raccolta, la vendita e il trasporto dei mitili verso i mercati internazionali. L’Università di Taranto, che non esiste ancora, potrebbe avere molto da offrire alla ricerca in materie come la biologia marina, l’ingegneria navale, la progettistica collegata alle attività marine.
A corredo di tutto questo, gli aiuti che verrebbero dall’Europa dovrebbero essere supportati da politiche di tipo fiscale e di tipo contrattualistico del lavoro, studiate insieme ai sindacati. Lo spessore culturale della città verrebbe risollevato da una azione di valorizzazione del museo, degli ori di Taranto, delle bellezze storiche che la città possiede. Ci vuole una politica nuova, ambiziosa e visionaria. Il futuro di Taranto è possibile, basta volerlo.
Questo articolo è stato pubblicato su Micromega Online l’8 settembre 2014

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