Articolo 18: le solite panzane sullo Statuto dei lavoratori

14 Agosto 2014 /

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di Loris Campetti
Se in Italia il mercato del lavoro è bloccato, se le aziende non assumono, se le multinazionali non vengono a investire in Italia, la colpa è dello Statuto dei lavoratori. E nella fattispecie, dell’art. 18, un totem. Una volta abbattuto a colpi d’accetta il totem, inizierà un’altra storia e ci sarà lavoro per tutti. Ci risiamo, stessa spiaggia stesso mare. Sembra di essere tornati all’inizio del secolo con una sola differenza: nel 2002 la Cgil di Sergio Cofferati portava in piazza tre milioni di persone in difesa dell’art. 18 e c’è voluto un decennio prima che ripartisse l’assalto al totem, più che un totem una cipolla che è stata sfogliata fino al cuore senza che la Cgil dei successori di Cofferati battesse ciglio. Al massimo parole in libertà.
Oggi gli unici a dire parole sensate sono Maurizio Landini, segretario della Fiom, e Pierre Carniti, rimpianto segretario della Cisl. Carniti ricorda con semplicità che oltre la metà dei lavoratori oggi non è coperto dallo Statuto dei lavoratori, ma la storia (dell’occupazione) non è cambiata. Anzi: le aziende chiudono, licenziano, esternalizzano, fuggono all’estero ed evadono il fisco peggio di quando l’art. 18 non era ancora stato sterilizzato. Per cambiare la storia bisogna smettere di distruggere lavoro e iniziare a crearne di nuovo.
Il ragionamento, coniugato in forme letterarie diverse da Alfano e Renzi, è che lo Statuto è figlio di una stagione morta e sepolta. Oggi bisogna occuparsi dei giovani che sono disoccupati e precari, dar loro qualche copertura. Ma siccome la coperta è stretta bisogna toglierla a chi, ingordo, oltre al lavoro ha anche diritti e tutele.

Rispondere, come fanno il segretario della Fiom e l’ex segretario della Cisl, che per aggiornare lo Statuto bisognerebbe estendere le tutele ai meno garantiti, e non toglierle alla minoranza garantita, è logico e, dunque, irricevibile da chi (berlusconiani doc e diversamente berlusconiani) pensa che se un padrone decide di licenziare un operaio perché è comunista, o della Fiom, o malato, o gay, o senegalese e la magistratura lo sanziona, al massimo dovrà pagare una multarella, ma è un suo diritto non riprendersi a lavoro l’operaio licenziato per rappresaglia o odio razziale o machismo o chissà che altro. Così violando non solo lo Statuto ma anche la Costituzione che, anche per questo, vogliono stuprare. Sempre in nome del cambiamento, della rottamazione e della modernità.
Quel che anche a sinistra – sinistra? – non si capisce è che questo delirio – più che ideologico, teologico (parole di Carniti) – produce un effetto devastante: scatenare la guerra tra poveri, giovani contro anziani, italiani contro stranieri, non garantiti contro garantiti, disoccupati contro precari, operai dell’industria contro dipendenti pubblici mentre la condizione sociale precipita. Guerra che spinge a destra, produce non rivoluzioni ma al massimo sommosse, legittima derive autoritarie concentrando tutti i poteri in pochissime mani. In politica com’è già in economia.
Forse è di questo che dovremmo parlare, prima ancora di dividerci sulla partecipazione (o non partecipazione) alle prossime elezioni amministrative.

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