Tamil: le sentenze italiane e l'analisi di un conflitto ancora in corso

5 Agosto 2014 /

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di Massimo Corsini
Per poter capire meglio le due sentenze che quest’anno hanno gettato una nuova luce sulla vicenda dei tamil dello Sri Lanka, quella del Tribunale dei Popoli e quella del tribunale di Napoli, è da poco uscito un libro dal titolo Oltre la nazione: conflitti post coloniali e pratiche interculturali. Il caso della diaspora tamil, edito da Ediesse a cura di Giuseppe Burgio, docente di pedagogia all’università di Palermo.
Il volume nasce dalla collaborazione interdisciplinare tra studiosi italiani e tamil e, attraverso lo studio del conflitto ancora in corso tra tamil e cingalesi, seppur sotto forma di diaspora dei primi dopo l’attacco “finale” nel 2009 da parte del governo di Colombo, affronta il tema dell’intercultura attraverso la dissociazione tra i tamil e la loro cultura ed il loro territorio. Ma che cosa hanno stabilito la sentenza del Tribunale dei Popoli e quella di Napoli quest’anno?
La prima ha affermato che quello del popolo tamil è stato, e continua ad essere ancora oggi, un vero e proprio genocidio, la seconda ha completamente assolto una trentina circa di tamil che nel 2008 vennero accusati di terrorismo dalla procura di Napoli. Due sentenze accomunate tra loro da una singolare mancanza di attenzione da parte dei mezzi di informazione. Non si capisce, infatti, per quale ragione la manifestazione tenutasi non molte settimane fa in occasione del festival dell’Eritrea abbia attirato, giustamente, l’attenzione dei media bolognesi, quando per le vicende del 2008, che coinvolsero anche cittadini tamil di Bologna, si trattò la vicenda in modo sbrigativo e approssimativo (non ci furono approfondimenti sul retroscena internazionale reale).

Le tre parole chiave del libro, come si evince dal titolo stesso, sono: “tamil”, “nazione” e “cultura”. Ovviamente, l’approfondimento che si tenta di delineare, ovvero la possibilità di sviluppo interculturale in un caso di dissociazione tra un popolo, la sua cultura ed il territorio a cui appartiene, avviene attraverso il caso della diaspora tamil. È impossibile prescindere dal passato coloniale dello Sri Lanka, come ha riconosciuto lo stesso Tribunale dei Popoli, cioè dalle responsabilità degli occupanti fino all’indipendenza indiana: la polarizzazione tra singalesi e tamil ha radici in due differenti rivendicazioni nazionalistiche la cui origine sta nella pratica coloniale britannica.
È impossibile prescindere dal passato coloniale per capire la situazione attuale così come è vero che è impossibile prescindere dalle responsabilità di quella parte della comunità internazionale che ha provato a far da tramite nell’evoluzione successiva del conflitto (India, Stati Uniti e Gran Bretagna in particolar modo). Come proverà a spiegare lo stesso Burgio, curatore di “Oltre la nazione”, è stato proprio il passato colonialista subìto ad aver iniettato in entrambe le fazioni in conflitto, singalese e tamil, l’idea di stato-nazione che giustifica entrambe le pretese territoriali: una concezione di matrice tipicamente europea del modello nazionale.
Tuttavia le difficoltà oggettive ed innegabili dei tamil dello Sri Lanka, definiti “una nazione senza stato ed un popolo senza territorio”, rispetto alla controparte singalese sono innegabili: il genocidio è tutt’ora in atto dopo lo scontro frontale del 2009 che ha messo fine alla guerra civile tra le tigri tamil e il governo di Colombo, e lo testimoniano i ragazzi che continuano inspiegabilmente a sparire senza essere più ritrovati e l’erosione continua da parte dell’esercito dello Sri Lanka dei territori tradizionalmente abitati dai tamil nel nord-est dell’isola (i territori intorno alle caserme vengono riservati alle abitazioni dei soldati e delle loro famiglie e nel nord est si trovano i due terzi delle caserme totali).
Da questa condizione deriva l’associazione del fenomeno migratorio tamil a quello di altre diaspore: curda, armena e palestinese. Da qui la tenace organizzazione per la sopravvivenza della loro cultura che, in assenza di un territorio di appartenenza, rimane l’unico forte simbolo in cui identificarsi. E sempre da qui l’esigenza di sperimentare nuove forme di gestione della società, di pratiche di interdipendenza, per supplire alla mancanza di uno stato tradizionale che si occupi dei concreti bisogni del suo popolo (è il caso dell’idea di “governance”, concepita come modalità di azioni interdipendenti sovranazionali, in opposizione al “government”, il classico “dispositivo di governo che tutti conosciamo”), ecco perché “parlare di intercultura significa oggi parlare anche di transnazionalità”.
Il volume arriva infine a sondare un’altra questione di attualità: quello dei tamil è terrorismo o resistenza? La curiosa risposta che propone Clelia Bartoli, docente di diritti umani all’università di Palermo, nel suo articolo si avvale di un suggerimento di Italo Calvino. Lo scrittore ne “Il sentiero dei nidi di ragno” del 1947, nel tentativo di rielaborare la recente esperienza della resistenza, si chiede quale differenza vi fosse tra partigiani e fascisti. Sebbene la pulsione che ha spinto entrambe le parti ad imbracciare le armi possa essere considerata la stessa, la ragione storica che legittima gli uni e condanna gli altri parla chiaro. “C’è la storia (…) che però esiste e che giudica chi vuole mantenere rapporti di oppressione e paura, e chi cerca di porre le basi di una società gentile che non obblighi a essere cattivi”.

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