Considerazioni sulle riforme costituzionali del governo Renzi: appunti per una discussione / 2

29 Luglio 2014 /

Condividi su

di Roberta Mistroni
Prima parte dell’articolo.
2. FORMAZIONE DELLE LEGGI
La formazione delle leggi con il sistema parlamentare proposto diventa praticamente appannaggio della sola camera dei deputati, “proprietà” assoluta della maggioranza governativa. Ma ciò non basta a Renzi: infatti per rendere ancora più sicuro il suo dominio sul legislativo, oltre a poter sempre utilizzare il metodo Mineo e Mauro per assicurarsi che in una commissione che esamina una legge non vi siano problemi di opposizione, prevede:

  • a) una corsia preferenziale per i disegni di legge del governo che devono essere approvati entro 2 mesi;
  • b) l’istituzionalizzazione della ghigliottina cioè della possibilità da parte del presidente della camera di bloccare l’ostruzionismo, strozzando così i possibili emendamenti presentati dalle minoranze presenti anche se scarse a causa del sistema elettorale.

È chiaro che questi interventi sul sistema legislativo sono messi in opera per assicurare alla maggioranza di governo la possibilità di legiferare senza ostacoli tanto più che, contro quanto afferma l’art.76 cost., il governo già da tempo si è arrogato il diritto di legiferare (decreti legge) utilizzando il parlamento come semplice sottoscrittore di quanto già deciso.
Si dovrebbe invece imporre l’applicazione testuale dell’art.76 cost. (decreti legge) e rispettare il potere legislativo del Parlamento per quel che riguarda i decreti legislativi applicando correttamente l’art.77 cost., in presenza però di un Parlamento democratico.

3. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Per il Capo dello Stato in teoria nulla cambia sul metodo di elezione perché continuerà ad essere eletto dalle Camere riunite in seduta comune (art.83. cost.), ma, attenzione, senza la presenza dei 5 consiglieri regionali per ogni regione richiesti dall’attuale Costituzione perché i consiglieri regionali sono già presenti nel Senato! In pratica comunque il Presidente della Repubblica sarà scelto dal partito di maggioranza, cioè dal Capo del governo, che potrà godere di 340 seggi della Camera in ogni caso, anche con solo il 20% dei voti: il Senato, nel determinare la maggioranza del 51% richiesta dalla nona votazione in poi, conterà solo per il 10%.
In altre parole per le prime 4 votazioni è richiesta per essere eletti la maggioranza dei 2/3 dei parlamentari, nelle successive 4 i 3/5 e alla nona il 51%. Basta perciò avere pazienza perché dalla nona votazione la maggioranza del 51% equivale a 366 voti che con ogni probabilità saranno così composti: 340 dalla camera e 26 dal Senato.
Un capo dello Stato così eletto non può più essere definito organo di garanzia costituzionale e di rappresentanza dell’unità nazionale (art.87 cost.) in quanto eletto unicamente dalla maggioranza di governo. In altre parole il Presidente della Repubblica diventa praticamente un garante del governo e non della Costituzione.
L’elevata maggioranza (2/3 dei votanti), almeno per le prime tre votazioni, richiesta dai costituenti per eleggere il Capo dello Stato, in presenza di un Parlamento effettivamente rappresentativo delle diverse idee politiche espresse dal popolo sovrano, ha lo scopo di assicurare che esso sia al di sopra delle parti, cioè rappresenti la nazione e non una maggioranza parlamentare.
Un Capo dello Stato eletto secondo la riforma costituzionale proposta da Renzi sceglierà poi come Capo del governo il leader della maggioranza che lo ha eletto e quindi anche i ministri che questi propone. Capo dello Stato e Capo del governo diventano l’uno il difensore dell’altro e addio alla dialettica politica e alla tutela delle opposizioni.
4. CORTE COSTITUZIONALE
La Corte Costituzionale (art.134 cost.) è l’organo supremo di garanzia costituzionale (Titolo VI cost.) in quanto è chiamata a giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, oltre a giudicare sui conflitti di attribuzioni tra i poteri dello Stato e delle Regioni e sulle accuse promosse contro il Capo dello Stato.
Per poter svolgere una funzione così importante la Corte deve essere ovviamente il più imparziale possibile: solo la Costituzione deve indirizzarla. L’imparzialità dipende in massima parte dalla sua composizione. Essa è composta (art.135 cost.) da 15 giudici di cui 1/3 nominati dal Presidente della Repubblica, 1/3 dal Parlamento in seduta comune e 1/3 dalle supreme magistrature.
Con la riforma Renzi il modo di elezione dei giudici costituzionali non cambia, ma il cambiamento c’è comunque perché:

  • a) i giudici costituzionali scelti dal Parlamento sono in realtà scelti dal partito maggioritario come seggi, ma non come voti e quindi in pratica sono scelti dal governo;
  • b) i 5 nominati dal Presidente della Repubblica, anche lui legato a filo doppio alla maggioranza governativa, sono anch’essi di fede governativa.

È evidente che la funzione di garanzia della Corte salta perché, essendo la maggioranza dei giudici praticamente di nomina governativa, ben difficilmente giudicheranno incostituzionali le leggi che il governo stesso vorrà emanare. Così pure ben difficilmente darà torto ai politici nei conflitti d’interesse tra organi dello Stato.
5. MAGISTRATURA E CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
L’attuale Costituzione afferma all’art.101 che la giustizia è amministrata in nome del popolo e che i magistrati sono soggetti soltanto alla legge. L’art.104 cost. ribadisce un concetto fondamentale e cioè che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. L’articolo riafferma il principio fondamentale della divisione dei poteri, nessuno dei quali può imporsi sull’altro.
L’organo che assicura l’indipendenza e l’autonomia è il Consiglio superiore della magistratura al quale sono affidate le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari riguardanti i magistrati (art.105 cost.).
Il CSM è presieduto dal Presidente della Repubblica e ne fanno parte di diritto il Primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per 2/3 da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per 1/3 dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari e avvocati dopo 15 anni di carriera (art.104 cost.).
Non trovando per il momento altro modo per asservire all’esecutivo anche il CSM, il governo Renzi ha previsto di anticipare da 75 a 70 anni il pensionamento dei magistrati (di norma già abbastanza anziani), decapitando in tal modo gli uffici giudiziari. I nuovi capi delle procure, dei tribunali e della Corte di Cassazione saranno nominati dal nuovo CSM appena insediatosi. Si tratta di un CSM dove 1/3 dei membri, detti laici, saranno di nomina praticamente governativa essendo nominati, come abbiamo detto, dal Parlamento in seduta comune. Il vicepresidente deve essere eletto tra i componenti laici (art.104 cost.), mentre il presidente, come sappiamo, è il Capo dello Stato. È evidente che un CSM così composto non potrà altro che scegliere i nuovi vertici della magistratura tra coloro che sono più vicini alla politica governativa.
Facciamo notare anche che esiste un progetto del deputato Violante, sostenuto da Renzi, che prevede di togliere al CSM i procedimenti disciplinari di secondo grado nei confronti dei magistrati al fine di farli giudicare da un’Alta Corte nominata per 1/3 dal Parlamento e per 1/3 dal Presidente della Repubblica. Ovviamente la maggioranza dei membri di questa Alta Corte apparterrebbero alla maggioranza governativa, da cui la evidente mancanza di obiettività.
È la fine della funzione del CSM e quindi dell’autonomia e indipendenza della magistratura. Un altro pezzo di democrazia che se ne va.
6. LA SOVRANITA’ DEL POPOLO
L’art.1 della Costituzione afferma che la sovranità appartiene al popolo e in conseguenza di ciò, oltre a prevedere la partecipazione del popolo all’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento ed altre forme di partecipazione alla cosa pubblica, come le associazioni, i sindacati e i partiti, prevede anche due forme di democrazia diretta: il referendum (art.75 cost.) e l’iniziativa di legge popolare (art.71 cost.).
La riforma renziana riduce enormemente questi spazi di democrazia diretta. Per quanto riguarda il referendum popolare l’attuale art.75 afferma che il referemdum è indetto quando lo richiedono 500.000 elettori o 5 consigli regionali, mentre il progetto di riforma eleva il numero delle firme richiesta a 800.000 e stabilisce che dopo le prime 400.000 firme la Corte Costituzionale dia parere preventivo di ammissibilità (ciò comporta anche una modifica dell’articolo della Costituzione sulle funzioni della Corte). Secondo i proponenti l’aumento del numero di firme richieste è compensato dalla diminuzione del numero di votanti necessari perché il referendum sia valido: era il 50% degli aventi diritto (art.75 cost.) e diventerebbe pari alla metà più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche.
Questa compensazione in realtà non esiste perché per fare il referendum prima bisogna raccogliere le firme e aumentarne il numero significa allontanare la possibilità di indirlo: se la riforma fosse approvata in tempi brevi, si ridurrebbero molto le possibilità di indire, ad esempio, il referendum sul fiscal compact.
Passiamo all’iniziativa di legge popolare. Attualmente l’art.71 afferma che per presentare un progetto di legge popolare è necessario raccogliere 50.000 firme di aventi diritto al voto. Il progetto di riforma eleva il numero delle firme a 250.000; non sono necessari molti commenti per comprendere che le leggi di iniziativa popolare, già oggi penalizzate dal fatto che una volta presentate raramente vengono messe in discussione, non esisteranno più.
In definitiva la sovranità popolare, già mortificata dalla impossibilità di esprimere preferenze nelle elezioni per la Camera, dal premio di maggioranza, dalle soglie, dall’impossibilità di votare per i senatori con tutte le conseguenze sugli organi di controllo del potere politico, viene irrimediabilmente condannata dalla riduzione delle forme di democrazia diretta.
CONCLUSIONI
Dunque, tirando le somme, questi sono i fattori in gioco:

  • 1. sistema elettorale per la Camera con liste bloccate, premio di maggioranza obbligato e soglie di sbarramento elevate
  • 2. Senato non elettivo (formato da consiglieri regionali e sindaci e da nominati dal Capo dello Stato) e con funzioni ridotte
  • 3. bicameralismo imperfetto dove il governo è espresso dal partito o coalizione che grazie al premio domina la Camera
  • 4. iter di formazione delle leggi definito dal governo che diventa il vero detentore del potere legislativo (assenza di divisione dei poteri)
  • 5. elezione del Capo dello Stato determinata praticamente dal partito che ha la maggioranza dei seggi alla camera
  • 6. mortificazione degli organi di garanzia, oltre al Capo dello Stato, come Corte Costituzionale e CSM
  • 7. annullamento in pratica delle forme di democrazia diretta

E il risultato, sommando tra loro i vari punti, porta a una conclusione: dittatura della più forte minoranza o democrazia del leader.

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati