di Sergio Caserta
Non ci sarebbe proprio da sorprendersi se tra qualche tempo Matteo Renzi ripristinasse dopo le feste de l’Unità, anche nel logo del PD la dizione “sinistra”, per chiudere ogni falla nella strategia di marketing mix della sua rivoluzione copernicana. Attraverso una ricercata ed efficace comunicazione, ricca di riferimenti ai temi cari alla sinistra, sta consolidando il potere conquistato nelle due fondamentali tappe della guerra lampo: la vittoria alle primarie e il successo delle elezioni europee. La prima raggiunta facilmente per defezione dagli avversari interni, la seconda conseguita con una succosa promessa redistributiva, un’operazione molto “di sinistra”.
Renzi si appresta a gestire un lungo periodo di consenso in ascesa, senza competitori reali: perfino Grillo ha cambiato tattica, aprendosi al dialogo, consapevole che con un governo così attivo non si può continuare nella mera denigrazione dell’avversario sugli scudi. Le crepe s’intravedono nel rapporto con l’opposizione, isolata nel partito, di Chiti e Mineo sulle riforme, lì nonostante le “assicurazioni” di non procedere a espulsioni, riecheggia lo stai sereno Enrico.
Renzi non intende scendere a troppi compromessi e vuole attuare una forma di regime d’impronta gollista: al vertice il “suo” partito del leader e della nazione, liberista con venature social-peronista, al centro del sistema istituzionale non più il Parlamento ma un governo forte senza alcuna istituzione reale di contrappeso, di fatto il presidenzialismo proposto da Berlusconi, non ancora esplicitato solo per prudente pudore.
Questo regime passa attraverso la riduzione del Senato a una funzione secondaria e una legge elettorale che si fondi su liste bloccate per mantenere il pieno controllo nel territorio sulla composizione della Camera, in ciò pienamente sostenuto dal partito-apparato ormai del tutto addomesticato.
Se ciò è vero, alle forze che si richiamano alla Costituzione e che hanno a cuore la difesa della repubblica parlamentare, si pone in modo ineludibile l’obbligo morale e politico di opporsi a questo progetto in tutti i modi che la Costituzione prevede, fino al referendum se necessario. Qui viene anche al pettine il nodo delle recenti elezioni europee e della lista “Altra Europa” che ha raggiunto al pelo il quorum per la rappresentanza.
La costruzione, o ricostruzione di una nuova sinistra in Italia che non si ghettizzi in un radicalismo marginale, deve costruire il suo asse sulla base ampia della cultura costituzionale e collegarsi alla sinistra europea che si batte per rompere l’egemonia del capitalismo finanziario in nome di una nuova costituzione sociale europea del lavoro e dei diritti.
Il progetto di questa sinistra si deve fondare anche su una cultura politica che raccolga e rielabori i diversi filoni di provenienza, nella costruzione di un nuovo fondamento politico. Una sinistra democratica, antiliberista, di critica e lotta al sistema capitalistico che non significa abolizione dell’imprenditorialità e del profitto privato ma sua subordinazione all’interesse generale, per la centralità del lavoro umano, contro ogni forma di precarizzazione e di lesione dei diritti sociali e di libertà.
La nuova forza della sinistra trova la sua radice, anche per quanto riguarda i rapporti economico sociali, nella nostra Costituzione come disegnati nel titolo terzo, negli articoli dal 35 al 47. Eccone alcuni:
- Art. 35. La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni
- Art. 36. Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa
- Art. 37. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore
- Art. 38. Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale […]
- Art. 41. L’iniziativa economica privata è libera non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali
- Art. 42. La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, a enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti
- Art. 43. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, a enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie d’impresa […]
- Art. 46. Ai fini dell’elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
Questi principi di straordinaria attualità anche perchè di gran lunga inattuati, possono costituire anche la base politico-programmatica di un percorso unificante, rispettoso delle diverse identità di provenienza delle forze oggi sparse: sia di quelle di formazione marxista comuniste e socialiste, liberate da ogni dogmatismo schematico, sia delle altre ad ispirazione democratica e liberalsocialista, fedeli alla Costituzione. Un percorso a tappe, senza che ciò richieda la rinuncia preventiva alle strutture esistenti che non sia il frutto di una maturazione pienamente condivisa.