Tre mesi di Renzi: abbiamo così bisogno di credere a chi promette da non far caso al fatto che non mantiene?

17 Maggio 2014 /

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Matteo Renzi
Matteo Renzi
di Rudi Ghedini
Era il 17 febbraio, esattamente tre mesi fa. Giusto tre mesi fa, Napolitano incaricava Renzi di formare un nuovo governo, dopo che Letta aveva presentato le sue dimissioni irrevocabili a seguito dell’approvazione a larghissima maggioranza di un documento da parte della direzione Pd. Era il 17 febbraio e Renzi scandiva: “Entro il mese di febbraio compiremo un lavoro urgente sulle riforme della legge elettorale e istituzionali, nel mese di marzo la riforma del lavoro, in aprile la pubblica amministrazione e in maggio il fisco” (agenzia Ansa).
Cominciava così il “governo del fare”. Sono passati 90 giorni. In questo periodo il Governo ha posto 9 volte la fiducia (su base annua, sarebbero 40): la compattezza della maggioranza ricorda molto i pentapartito degli anni Ottanta. Il 13 marzo, dopo il voto alla Camera sul cosiddetto Italicum, Renzi dettava: “Entro il 25 maggio dobbiamo riuscire a chiudere la partita della legge elettorale e la prima lettura della riforma del Senato”. Risultato: né l’una, né l’altro.
Da premier, Renzi ha detto che avrebbe fatto una riforma ogni trenta giorni, ne ha annunciata una ogni trenta minuti: l’elenco delle promesse – o degli annunci – si è gonfiato come la famosa rana. Dal pagamento di tutti i debiti (60 miliardi) della P.A. alla riduzione secca del 10% del costo dell’energia per le imprese, dal piano straordinario per l’edilizia scolastica all’abolizione delle Province, dalla nuova legge elettorale alla riforma del Titolo V della Costituzione, dall’abolizione del Senato elettivo a quella del Cnel, dal Jobs Act alla drastica riduzione dei compensi dei manager pubblici.

Le Province? Non sono state abolite. Sono stati aboliti i consiglieri e gli assessori provinciali, il cui numero oscilla intorno alle 2.200 unità (ma a Renzi piace fare cifra tonda: “Tremila posti in meno per i politici”). Preferisce rimuovere il fatto che la nuova legge aumenta a dismisura il numero degli eletti nei Comuni: circa 26mila consiglieri in più e circa 5mila assessori in più.
Non mancano i giochi delle tre carte, come quello praticato per la vendita all’asta delle auto blu. La slide numero 16 annunciava “100 auto blu all’asta dal 26 marzo al 16 aprile”. Ma il 26 marzo il Governo ha parlato di 151 auto blu. E il 25 aprile si è detto che “tutte e 52 le vetture finora messe all’asta su Ebay sono state regolarmente aggiudicate”. Quanto alle 9 Maserati blindate, non è arrivata nessuna offerta, e sono state tolte dal sito di aste online.
Il Fatto Quotidiano – Marco Quarantelli – ha riepilogato i termini della vicenda relativa all’edilizia scolastica. Il Piano Scuola annunciato con le famose slides del 12 marzo prevedeva 3,5 miliardi di euro (era la slide numero 20). Quindici giorni dopo, all’assemblea dei parlamentari Pd, il premier annunciava che i cantieri sarebbero partiti a giugno. Passano altre due settimane e viene specificato che quei 3,5 miliardi li “abbiamo tolti dal patto di stabilità”, ma nell’unico atto ufficiale – il Def, Documento di Economia e Finanza – i fondi – cito Quarantelli – “scendono a quota 2 miliardi, come si legge a pagina 30. Se poi si va a guardare nel testo del decreto Irpef si scopre che per ora le risorse stanziate dall’articolo 48 (Edilizia Scolastica) non vanno oltre i 122 milioni per il 2014 e gli altrettanti del 2015. In tutto 244 milioni, non 3,5 miliardi”.
Di cose, il governo ne ha cominciate un sacco, ma ne ha portate a compimento pochissime. Ha fatto le nomine nelle grandi aziende pubbliche, e lasciamo perdere con quale tasso di meritocrazia. Ha fatto approvare il Decreto Lavoro, che è cosa ben diversa dal Jobs Act – sono solo “disposizioni in materia di contratti di lavoro a termine” -, anzi persino nel Pd c’è chi sostiene che sono provvedimenti inconciliabili.
Certo, ci sono i famosi 80 euro. Il 18 aprile il Governo ha approvato il decreto attuativo; ma i tecnici del Servizio Bilancio del Senato, che analizzano le leggi prima del passaggio in Aula, hanno segnalato varie diverse criticità sulle famigerate “coperture”, e persino dubbi di costituzionalità.
Renzi se l’è presa coi burocrati del Senato. Del resto, la Cgil critica il decreto sul lavoro perché gli è stato tagliato il monte-ore dei permessi sindacali, e Pelù critica perché ha perso un incarico retribuito a Firenze… Persino il Corriere si è mostrato imbarazzato per quella che ha chiamato “strategia della denigrazione”. Oggi è il 17 maggio: se è vero che “la luna di miele” del governo comincia a calare dopo 100 giorni, Renzi avrà successo alle Europee e gli italiani cominceranno ad aprire gli occhi un paio di giorni dopo la chiusura dei seggi.

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