Così muore il futuro di Taranto

15 Maggio 2014 /

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di Antonia Battaglia
Vista da Taranto, sfondo Ilva, l’attuale campagna elettorale per le elezioni europee sembra fatta al bar. Piccole, insignificanti discussioni tra amici, la sera, per distrarsi un po’ e allontanare dalla mente i problemi quotidiani.
Con l’espressione mista di sfiducia e di voglia di ribellione che hanno sul volto i tarantini, si aspetta, come in una telenovela, che i politici, che dicono oggi pubblicamente che Taranto vogliono salvarla, si riprendano dallo sconcerto creato in loro dalla notizia (insignificante seppur eticamente fastidiosa) che l’ex Ministro della Giustizia Paola Severino sia adesso avvocato della famiglia Riva.
Parole di sdegno, per questa notizia, sono arrivate da tutti o quasi i candidati alle elezioni europee anche da chi, ci si aspetterebbe, avrebbe potuto ignorare la notiziola e usare le altisonanti parole di sdegno a difesa di Taranto per ben altre ragioni e per ben altre notizie. Sì, perché questa settimana, a Taranto, è stata davvero densa di notizie negative, che mostrano l’avvio della città verso una zona di non ritorno, di condanna definitiva.

Pochi giorni fa è scoppiato il caso «arsenico», sostanza classificata come cancerogena dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. La pubblicazione dei dati del progetto «Sepias» (Sorveglianza Epidemiologica in aree interessante da Inquinamento Ambientale da Arsenico), realizzato dal CNR, ha illustrato i risultati del monitoraggio dell’inquinamento da arsenico in zone a rischio come appunto Taranto, Gela e l’Amiata. Lo studio ha concluso che esiste un pericolo molto concreto per la popolazione, soprattutto nelle aree industriali di Taranto e di Gela.
Qualche giorno prima era stato pubblicato il terzo rapporto Sentieri (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento), coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nato per monitorare l’incidenza di malattie nei 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN). Lo studio, condotto con l’aggiunta dei dati sulle malattie oncologiche, ha mostrato un aumento delle percentuali di tumore e dei ricoveri ospedalieri. Nel caso di Taranto, sono stati registrati alti tassi di mortalità incrementati rispetto ai valori regionali, dati che diventano altissimi quando si va nel concreto di percentuali che riguardano, ad esempio, il mesotelioma della pleura, +142 per cento negli uomini e +110 per cento nelle donne rispetto alla media nazionale. In termini di incidenza tumorale, cioè di nuovi casi per anno, si parla di 1987 casi tra gli uomini (+39%) e 1643 tra le donne (+33%) per tutti i tipi di tumore. Notevolmente in aumento, confermano i dati, i casi dei sarcomi dei tessuti molli (+35%, +68%), dei tumori del rene o dell’apparato urinario (+87%, +43%).
Le reazioni del mondo politico e delle istituzioni a questa notizia sono introvabili. Nessuna presa di coscienza pubblica, nessuna proposta per cambiare questa situazione, che non può che peggiorare.
La politica continua ad ignorare il dramma che si consuma nella nostra città, come in altre città italiane colpite da una sorte simile. E non si tratta solo di ambiente, non lo dimentichiamo: si tratta del diritto alla vita, che é un diritto ben più esteso; si tratta del diritto ad un lavoro sicuro, che ha a che fare con i principi che dovrebbero essere cari a chi si occupa di lavoratori e di ideali della sinistra.
Ma perché quei partiti che dicono di avere a cuore Taranto non destituiscono sindaco, presidente della regione, dirigenti politici? Ma come può ancora essere in carica un ministro della salute che non si occupa per niente della questione sanitaria di Taranto e che, in un tweet di qualche tempo fa, scrisse che la soluzione per Taranto era allontanare i centri abitati dalla zona Ilva? Ma come può ancora essere ministro dell’ambiente chi ignora, anche lui, la questione ambientale in cui versa la città?
Alle 7.50 di mattina di qualche giorno fa imponenti colonne di fumo nero si sono sollevate sulla città, in provenienza dall’Acciaieria 2 dell’Ilva. Un incendio domato subito, ha risposto l’Ilva ad un tempestivo comunicato stampa di PeaceLink. Tutto continua indisturbato, nella totale impunità e nell’oblio del fatto che una città intera stia letteralmente morendo.
I padroni ed i politici, però, non stanno a guardare, ma preparano grandi manovre. Perché il Disegno di Legge 1345 sui reati ambientali, approvato alla Camera e in prossima discussione al Senato, è l’arma che può salvare chi é reo di gravi crimini ambientali, il che è una mossa astuta alla vigilia del processo Ilva la cui udienza preliminare é fissata al 19 Giugno prossimo e che vede nomi eccellenti tra coloro per i quali é richiesto il rinvio a giudizio (esponenti della famiglia Riva, il Presidente della Regione Puglia Vendola, il sindaco di Taranto Stefano, il Presidente della Provincia Florido).
Se questa legge venisse approvata, sancirebbe il danno ambientale come “alterazione dell’ecosistema”, rendendo assolutamente impossibile per il giudice competente giudicare reati anche gravi, come quelli ipotizzati a Taranto. L’astrazione della definizione ed il lavoro di ricognizione scientifica che il testo chiama in causa implicano che il reato sarebbe ipotizzabile solo dopo anni di ricerca per accertare l’irreversibilità del danno stesso. Passerebbero secoli in attesa di tentativi di bonifiche capaci di riportare i siti già inquinati ad originarie ed inaccertabili condizioni pre-inquinamento. Immaginate un tentativo di bonificare Taranto intera e il suo mare?!
La legge mira a depotenziare la portata penale del crimine ambientale, il che potrebbero voler dire dover riscrivere numerose richieste di rinvio a giudizio, riaprendo totalmente la partita legale del processo Ilva e non solo.
Altra grande novità della settimana è stata la pubblicazione del Piano Ambientale Ilva, che costituisce emendamento all’Autorizzazione Integrata Ambientale, il permesso dell’azienda a produrre, giudicato già illegale dalla Commissione Europea nelle nuova lettera di messa in mora notificata all’Italia il 16 aprile scorso.
Secondo la Commissione, infatti, l’Italia non sta rispettando tre diverse direttive europee sull’inquinamento e la sua prevenzione, e permette all’Ilva, che costituisce un pericolo immediato per la salute umana, di continuare a produrre senza che ci siano i requisiti necessari a garantire la continuazione dell’attività stessa. Richiamandosi all’articolo 8.2 della direttiva sulle Emissioni Industriali, invocato da PeaceLink nel recente incontro a Bruxelles con il Commissario Potocnik, si scrive per la prima volta che “le condizioni di produzione dell’Ilva rappresentano una minaccia di immediati effetti avversi anche sull’ambiente ed impongono all’Italia l’obbligo di sospendere le operazioni delle parti rilevanti dello stabilimento”.
Il Piano Ambientale, che viene salutato dal Governo come una incredibile conquista che permetterà produzione senza inquinamento, ha un solo effetto ed un solo fine: rimodulare la tempistica degli interventi urgenti già previsti da anni e che avrebbero dovuto essere stati già completati. Le prescrizioni contenute nella autorizzazione dell’Ilva a produrre avrebbero dovuto esser finalizzate a realizzare una produzione che non mettesse in pericolo la salute umana, cosa di per sé già impossibile visto che gli impianti siderurgici di Taranto sono talmente obsoleti da non poter produrre in maniera diversa nemmeno con il lifting tecnologico vantato.
Il Governo, quindi, incurante dei diritti di una città intera, in protezione della casta politica che governa Taranto, la Regione, il Ministero della Salute e dell’Ambiente, approva un piano che dilata i tempi degli interventi e che concede altri mesi alla produzione illegale di acciaio.
Quelle che vengono salutate come innovazioni dal Governo, come l’eliminazione o la riduzione sostanziale della produzione e l’uso del carbon coke, oppure la necessità di una fonte di approvvigionamento di acqua diversa da quella del Mar Piccolo per il raffreddamento degli impianti, non sono che delle mere raccomandazioni e nulla di più.
Del Piano Ambientale Ilva i politici, indignati che Paola Severino sia avvocato dei Riva, non hanno parlato, perché sono i loro stessi partiti ad aver redatto i testi di quel piano che diventa legge e che mette un punto di chiusura al diritto dei tarantini ad avere un futuro diverso. La condanna della vita umana in nome della protezione della politica. Nulla di più.
Questo articolo è stato pubblicato da Micromega Online il 12 maggio 2014

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