di Maurizio Matteuzzi, università di Bologna
Il titolo dell’articolo 50 del decreto spending è “disposizioni finanziarie” e recita: “Per l’università la razionalizzazione della spesa è assicurata attraverso la riduzione della dotazione del Fondo di finanziamento ordinario”. Corrado Zunino così commenta su Repubblica: “La prima promessa tradita dal governo Renzi è sull’università“.
È bene ricordare una volta di più, a beneficio dei non addetti ai lavori, e di tutti coloro che ritengono che i finanziamenti alla ricerca e all’università siano un problema marginale (con questa crisi!), che l’Italia spende per questa voce meno dell’1% del PIL, contro una media europea di oltre il 2%. Ora, uno dirà, ci sono altre urgenze, io non faccio ricerca, e i miei figli non vanno all’università. Ecco la forma di miopia egregiamente sfruttata dai nostri premier. Tutti, nel decennio, anzi, ahimé, nel ventennio. L’ultimo politico che pensò di incrementare lo sviluppo con investimenti in ricerca fu Padoa Schippa; ma nel contesto di un governo Prodi che non si peritò di tagliare gli stipendi ai docenti universitari, equiparandoli, per l’occasione, ai magistrati (quale onore…).
Parliamo dell’FFO. Che bestia è, dirà qualcuno. È il fondo complessivo per la ricerca, ciò che consente alle nostre università per andare avanti. Bene, l’FFO è stato tagliato in modo draconiano dal governo Berlusconi, per opera di Tremonti (circa 800 milioni), e della pedissequa Gelmini. È poi stato tagliato da Monti, e dal mite e indecifrabile, ma obbediente Profumo; il governo Letta, e l’ineffabile Carrozza, non hanno fatto eccezione. Ma ecco il nuovo che avanza, mica scherzi, adesso abbiamo il giovane rampante rottamatore. E la storia si ripete, rubiamo un altro po’ di soldi nei soliti posti sicuri, quelli in cui nessuno ci vede; è un problema di comunicazione, basta che la Giannini, che non vuole essere da meno dei suoi predecessori, parli di “accantonamenti” anziché “tagli” e il gioco è fatto. Che tristezza, il nuovo che avanza. E come puzza di vecchio…
Allora, al di là dello spender parole per i soliti servi dei padroni, pronti a fare il lavoro sporco, come Monti e la Fornero, o, per venire all’oggi, per un saccente ragazzotto della cui credibilità già c’informò Collodi, che tutte le volte che ha parlato dell’università ha detto sciocchezze, noi vogliamo invece usare le nostre parole per te, lettore paziente, disinteressato in prima battuta alla questione, convinto che non ti riguardi, ma, almeno, in buona fede. Sbagli, lettore onesto: de te in fabula narratur; e non solo di te; dei tuoi figli, del futuro.
Ragioniamo da neo liberisti, ormai è prassi. Bene, tu avessi un’azienda, lettore sincero, che è in crisi e alla quale vuoi dare una prospettiva migliore, che è assalita da una concorrenza che ha personale meno pagato, e accede a un bacino incomparabilmente più vasto, ecco, allora, dove investiresti? Vogliamo fare concorrenza ai cinesi sul salario, o sul numero? Come non capire che l’unica via di sopravvivenza, se non di crescita, è il tenere alta l’asticella, l’investire in ricerca, e l’ambire ad essere “più bravi”? Stranamente questo banale discorso, di un’ovvietà lapalissiana, suona incomprensibile ai nostri cantores della meritocrazia. Siano poco dotati intellettualmente o in malafede, ai posteri l’ardua sentenza. Quando si tocca questo tasto, ecco che la fatidica “meritocrazia” scompare dagli schermi, dissolvenza.
Lettore amico, prendi allora l’elemosina degli ottanta euro, e sappi che mai potrai mandare tuo figlio nell’università dei ricchi, del prestito d’onore, del potere verticistico e asservito, delle tasse crescenti. A te non spetta, di avere un figlio laureato; resta servo della gleba e sii bravo, e contento.