di Rosanna Picoco
Il 15 aprile è un giorno particolare, per tante persone questa data risveglia ferite mai rimarginate: il 15 aprile di tre anni fa Vittorio Arrigoni fu ucciso. Scrivere di lui non è mai semplice: come si può racchiudere in poche righe la vita di un uomo che ha saputo dare tanto e dimostrare che si può e si deve restare umani?
Non è del giorno della sua morte che vorrei parlare, ma della sua vita, del suo coraggio e della sua grande empatia, la sua capacità di stare al fianco degli ultimi, di dare corpo ai suoi sogni e ai suoi ideali. La sua vita continua a raccontare e la sua memoria è diventata impegno di tanti. Caldo, era molto caldo quel pomeriggio di agosto del 2008.
Accalcati sul piccolo molo di Gaza, centinaia di palestinesi in attesa dell’arrivo delle due imbarcazioni della Free Gaza Boat. Sì, perché l’arrivo di due imbarcazioni nel porto di Gaza non si vedeva dal 1967, un evento storico a causa del blocco navale che da anni tiene prigioniera la popolazione in un striscia di terra di 360 kmq, la più grande prigione a cielo aperto del mondo.
A bordo di quelle piccoli imbarcazioni viaggiava anche Vittorio Arrigoni. Fu quello il giorno del suo arrivo a Gaza, quella che sarebbe diventata la sua casa. Decise di restare, di non andare via perché la sua presenza, il suo impegno al fianco dei contadini e dei pescatori era fondamentale per raccontare quello che in Palestina avviene tutti i giorni.
Insieme agli altri attivisti dell’International Solidarity Movement, Vittorio tutti i giorni diventava scudo, scudo umano tra il lavoro delle braccia di quegli uomini e quelle donne e i proiettili israeliani. Perché nella Striscia di Gaza non è possibile allontanarsi per più di tre miglia dalla costa per pescare in acque non inquinate, non è possibile lavorare sui campi senza rischiare di morire. E allora la sua presenza, e quella degli altri attivisti internazionali, diventava fondamentale per proteggere quei corpi e quelle vite.
Non credeva alla guerra, ma ci si è trovato in mezzo suo malgrado. Vittorio ha visto con i suoi occhi l’orrore, l’irragionevolezza della crudeltà. Perché quando il 27 dicembre del 2008 è partita l’operazione militare Piombo Fuso, era lì e decise di rimanere: perché bisognava raccontare al mondo quello che stava succedendo. E lo ha fatto quotidianamente attraverso il tuo blog e sulle pagine de Il Manifesto, l’unico quotidiano italiano che ha dato spazio ai suoi racconti.
Hai visto l’orrore, sei stato testimone di un massacro ma hai continuato a credere fortemente che l’unica speranza per l’umanità è quella di restare umani. Manchi, manca la tua voce. Ogni giorno.
Perché i palestinesi della Striscia continuano a subire l’embargo imposto non solo da Israele, ma anche dall’Egitto. Perché non viene data la possibilità ai bambini di studiare, ai malati di curarsi, perché la percentuale di disoccupazione è salita al 35% nel 2013. E allora l’unico modo per ricordarti, ricordarti davvero è di non dimenticare Gaza, non dimenticare che il 71% della sua popolazione è formata da minori di 18 anni e se vogliamo una storia diversa, se vogliamo restare umani abbiamo il dovere di non restare a guardare e non dover trovarci un giorno a dire “io non lo sapevo”.