di Alfiero Grandi e Paolo Lucchesi
La spinta a dividere i sindacati in questi anni è stata fortissima, sotto la pressione di importanti settori imprenditoriali come la Fiat, con il sostegno attivo del governo Berlusconi. L’accordo sulle regole del 31 maggio 2013 ha grande importanza perché ha portato la speranza di superare le rotture sindacali e di ripristinare un rapporto democratico con i lavoratori.
Invece il regolamento attuativo interconfederale dell’11 gennaio 2014, che fa corpo unico con l’accordo, anziché speranze, ha creato divisioni profonde nella Cgil, ora attraversata da uno scontro politico lacerante, che rischia di condizionare il prossimo congresso. La stagione congressuale, iniziata con una posizione largamente unitaria, ora rischia una rottura, che rappresenterebbe un capovolgimento di tendenza.
Le diverse posizioni sul regolamento sono note. Ad esse si aggiunge un sovrappiù di comportamenti che non aiutano il confronto per tentare una composizione. Questa crisi nella Cgil è più grave di quella che portò alle dimissioni di Trentin nel 1992 perché, come dimostrano i fatti, i protagonisti dell’epoca seppero fermarsi prima dell’irreparabile, consentendo a Bruno di ritirare le dimissioni per puntare al superamento di un accordo, che per primo riteneva un errore e che tuttavia aveva firmato. Questo consentì di arrivare all’accordo del 1993 che recuperò almeno parte dei problemi.
Proiettare in avanti la soluzione dei nodi non risolti, in uno scenario non chiuso nella contingenza e nella mera difesa delle proprie posizioni, può essere anche oggi un metodo fecondo. La via migliore sarebbe rivedere alcuni aspetti del regolamento. Se questo non è possibile la Cgil potrebbe comunque adottare posizioni in grado di garantire sull’esito reale dell’intesa. La Fiom è al centro di un pesante attacco, è oggetto di discriminazioni, sanzionate anche dalla Corte Costituzionale con una sentenza che fa testo in materia.
In CISL c’è stato sull’accordo un confronto preventivo con la Fim, la stessa cosa non è avvenuta in Cgil e questo non ha certo aiutato. Il regolamento dell’11/1/2014 conferma la soglia del 5% per l’ammissione delle categorie alle trattative, ma fa discendere dall’atteggiamento sul contratto la parte contrattuale dei diritti sindacali.
La Cgil dovrebbe chiarire che la Fiom, come qualunque altra categoria, non può essere esclusa dalle piattaforme, dalle trattative, dai diritti sindacali anche se non firma il contratto. È un punto importante per evitare l’esclusione della Fiom dai diritti sindacali contrattuali e per garantire il diritto dei lavoratori a scegliere la loro rappresentanza, cosa del resto sempre affermata dalla Cgil.
Sarebbe utile un’iniziativa della CGIL per un confronto tra confederazioni e categorie dei metalmeccanici per contribuire al superamento di una rottura che dura da troppo tempo. Tutte le Confederazioni hanno interesse al superamento degli accordi separati e questo potrebbe far fare un passo avanti verso un nuovo contratto che coinvolga tutti, sia chi ha firmato quelli precedenti, sia chi non l’ha fatto. Altrimenti le rotture passate sono destinate a produrre effetti senza fine.
È importante che nell’accordo del 31 maggio 2013 sia previsto il voto di tutti i lavoratori interessati sui contratti, lo è meno che non sia la regola nei luoghi di lavoro. È rilevante che le sanzioni siano escluse per i lavoratori perché l’esigibilità di un contratto e le sanzioni non sono la stessa cosa. Resta da chiarire il rimando ad un arbitrato interconfederale per sanzionare i comportamenti sindacali, che nell’accordo del 31 maggio non c’era. L’azione sindacale ha carattere volontario, che senso ha forzare la volontà di intere categorie, correndo il rischio di ricorsi alla magistratura?
Ci sono ambiguità nel regolamento, se non si può cambiare in ogni caso la Cgil può interpretare quanto è scritto affermando con chiarezza che nessuna maggioranza della commissione arbitrale potrà adottare sanzioni verso sue categorie, possibili solo entro le regole dello statuto. Chiarire che la Cgil non accetterà sanzioni dall’esterno potrebbe dare garanzie alle categorie e ai delegati dei luoghi di lavoro.
Il valore dell’accordo del 31 maggio 2013 sta in un percorso democratico, nel quale risulti evidente la volontà della maggioranza dei lavoratori sulle scelte che li riguardano, ma non può essere ignorata la questione delle aree professionali, che portò in passato le confederazioni ad adottare regole che non si limitavano a registrare le maggioranze del 50 % + 1, al fine di raccogliere le istanze di aree di lavoratori significative, utili a rafforzare la rappresentatività e il potere contrattuale di tutti.
Nell’accordo non sono ricompresi i precari, i discontinui. È un problema per le confederazioni che, in quest’area in crescita del mondo del lavoro, hanno una scarsa rappresentatività, che è strumentalmente usata contro i cosiddetti “garantiti”. Regolare questa realtà non è facile, ma occorre provarci per arrivare ad una saldatura con chi non si sente tutelato. Qualche controllo in più sulle imprese per la certificazione degli iscritti non guasterebbe.
Presenta aspetti delicatissimi la modificabilità a livello aziendale dei contratti nazionali col rischio che la situazione sfugga di mano scivolando verso un aziendalismo corporativo e subalterno. Questo ci porta al valore delle regole contrattuali che non può mettere in ombra l’esigenza di una legge che dia certezza a tutti ed eviti atteggiamenti legati alle oscillazioni delle fasi sindacali e politiche.
Sono illusori i tentativi di regolare una materia delicata e controversa come questa senza la legge. Un accordo interconfederale non annulla il ruolo della legge ed i ricorsi che rischia questo accordo confermeranno che non può essere la soluzione conclusiva. Le ragioni per arrivare ad un’intesa su rappresentanza e rappresentatività sono fortissime, sapendo che la sua adeguatezza è garanzia del successo. Per questo è importante lavorare per sciogliere positivamente le divergenze.
Se un’intesa suscita dissensi al punto che ci saranno due consultazioni parallele, vuol dire che le divergenze non sono superabili con richiami all’ordine, ma occorre affrontarle con pazienza, disponibilità, fantasia. La Cgil rischia di pagare un prezzo pesante, anche se restasse solo una contrapposizione tra Cgil e Fiom.
Il sindacato è di fronte a prove che obbligano tutti a porsi l’obiettivo di ricomporre il mondo del lavoro subordinato, martoriato da disoccupazione, basse retribuzioni, caduta del potere contrattuale. Il Paese ha bisogno di un sindacato forte, non corporativo, in grado di affrontare le sfide dei prossimi anni e la CGIL deve esserne protagonista.
Le risposte ai dissensi vanno cercate con coraggio, misura, creatività da parte di tutti. L’accordo del 31 maggio 2013 è un riferimento positivo e può aiutare il sindacato ad uscire dalle difficoltà, semprechè il regolamento attuativo non lo contraddica.
Questo articolo è stato pubblicato su Il Manifesto l’11 marzo 2014