di Susanna Böhme-Kuby
Vladimiro Giacché, Anschluss, l’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, pp. 301 pp, € 18, Imprimatur, Milano 2013
Chi ha vissuto le vicende che hanno concluso la “guerra fredda” 25 anni fa, poteva chiedersi perché al “pensiero unico” della narrazione del vincitore tedesco-occidentale, che ha bandito da subito ogni approccio alternativo, non si sia contrapposta un’analisi critica degli avvenimenti almeno da parte di storici non direttamente coinvolti nelle vicende tedesche.
In Germania denunce del carattere predatorio della “annessione” economica, giuridica e culturale della Ddr si trovano semmai nella produzione letteraria dei pochi autori dell’est che sono sopravvissuti “editorialmente” pur non denigrando il loro passato. Il fatto è che la propaganda occidentale – dal dopoguerra alla Ostpolitik – aveva inculcato nei tedeschi l’immagine della “cosiddetta Ddr” come stato illegittimo. E i media hanno poi cavalcato la “demonizzazione di quella esperienza” (Giacché), non solo in Germania.
Quell’impeto e anche la parziale irrazionalità del procedere si spiega conun dato: l’annientamento della Ddr era stata la meta delle élite economiche e politiche tedesche dal 1949 in poi – nell’illusione di poter uscire finalmente da un “passato” che era stato determinante per la divisione della Germania.
È da salutare dunque questo ricco saggio di un economista che affronta il compito arduo di una contronarrazione basata su una folta documentazione di dati e testimonianze. E il collegamento tra “l’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa” è assai centrato ora che Berlino impone ai più deboli nella UE i “compiti di casa” con una durezza che i più non sanno spiegarsi senza ricorrere a semplificazioni populiste o a vecchi pregiudizi.
Per guardare con maggiore realismo a quel che aspetta la UE nel prossimo futuro appare utilissima non solo la chiarezza di Giacché sulla funzione politica delle unificazioni monetarie, quella tedesca e quella europea, ma anche la dettagliata informazione sul modello “Treuhand”, che i tedeschi vorrebbero estendere – con le dovute modifiche – all’Europa. Invocato ad est per “la tutela del patrimonio del popolo”, l’ente venne trasformato dalle banche occidentali dopo la firma del “Trattato sull’unione economica emonetaria” (1990) nella holding più grande del mondo che privatizzò l’intero patrimonio pubblico della Ddr.
Fu la liquidazione di tutta l’economia senza controllo da parte di istituzioni democratiche: l’87 % delle imprese finì in mani tedesco-occidentali, il 7% all’estero e appena il 6% a cittadini ex-Ddr. Dei 4,1 milioni occupati nell’industria a fine 1989 ne restarono appena 104.000 alla fine del 1994. “E dopo le industrie, toccò alle risorse agricole e forestali, ai corsi d’acqua e agli immobili – fu una distruzione di entità tale che nella storia mondiale è senza precedenti in tempi di pace ed è estremamente rara anche in tempi di guerra”.
Giacché accenna anche alla tabula rasa in campo culturale con la liquidazione delle élite, mettendo a fuoco i nuovi problemi connessi con lo spopolamento dell’est. E ravvisa una costante nel governo tedesco:
L’utilizzo al limite del cinismo di rapporti di forza favorevoli (…) la convinzione integralistica dell’assoluta superiorità del proprio punto di
vista, e soprattutto la difesa accanita degli interessi delle proprie banche e delle proprie grandi imprese”.
Questa recensione è stata pubblicata su L’indice dei libri di marzo 2014