Spagna, i morti della guerra (non) dichiarata alle migrazioni

17 Febbraio 2014 /

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di Angelica Erta
Altri due cadaveri sono stati ritrovati sulla spiaggia nei pressi di Ceuta. Sono quelli di due migranti subsahariani, ragazzi con meno di trent’anni, che elevano a quindici il numero dei morti di quel maledetto 6 febbraio, in cui persero la vita nell’estremo tentativo di oltrepassare la frontiera che separa l’enclave spagnola dal Marocco. A nuoto, senza documenti come attestano le autorità, senza niente, solo con tanta, troppa disperazione. Sono stati rinvenuti sabato scorso dalle autorità marocchine, a due kilometri dalla frontiera del Tarajal. La Guardia Civil ha deciso di ampliare le ricerche ad un’area più vasta, forse altri corpi verranno ritrovati, forse no, trascinati chissà dove o inghiottiti dalla acque. Un dispiegamento di forze quasi grottesco, ora, che la tragedia si è già consumata, non è stata evitata, anzi determinata da un forsennato dispositivo di controllo delle migrazioni ormai incapace di porsi limiti, che solo obbedisce agli ordini, difende la frontiera.
È l’alba quando circa 250 migranti subsahariani cercano di entrare a nuoto nella città autonoma, dopo aver inutilmente tentato di oltrepassare la frontiera via terra, attraverso il passaggio di dogana del Tarajal. Intercettati dalle telecamere e fermati dai militari marocchini proseguono la loro corsa verso la barriera frangiflutti, alta sei metri e avvolta nel filo spinato, che separa la spiaggia marocchina da quella spagnola. Si tuffano in mare, la Guardia Civil spara a salve, spara proiettili di gomma e lancia lacrimogeni. La maggioranza desiste, ma in ventitré scelgono, con un calcolo sbagliato, di andare avanti fra le onde.

Questa è l’ultima versione ufficiale, secondo cui si cessò di sparare quando i migranti s’avvicinarono alla barriera, a meno di 25 metri dalla costa spagnola. L’ammissione arriva giovedì 13 febbraio, per bocca del ministro dell’Interno Jorge Fernàndez Dìaz, che riconosce l’utilizzo di proiettili di gomma per dissuadere dall’attraversamento. Si scontra con tutto quanto affermato nella settimana precedente, con le dichiarazioni contraddittorie e le negazioni categoriche degli spari del delegato del governo di Ceuta e del direttore della Guardia Civil. Scariche denunciate fin dalle prime ore dalle ONG che raccolsero le testimonianze dei superstiti. Secondo la vicepresidente del governo Rajoy, Soraya Sàenz de Santamarìa, si tratta di una “dimostrazione di trasparenza in un lasso di tempo assai breve” e le contraddizioni sono solo “il frutto dell’incompletezza delle informazioni”.
La vicepresidente difende l’attività della Guardia Civil, “umanitaria e professionale”, “realizzata con professionalità e rispetto dei diritti umani fondamentali”. Diritti umani ridotti all’etichetta posticcia di uno stato che ostenta l’universalismo dei diritti che ha cancellato, la facciata grottesca della democrazia, quando si riduce alla sua frontiera. Una sequela di eufemismi che seguono alle menzogne delle autorità di frontiera, frammenti di verità confessati una volta messi alle strette da prove inconfutabili.
Le prime dichiarazioni assicuravano che nessun migrante era riuscito a raggiungere la costa spagnola. Un resoconto presto spazzato via dal video girato da un’abitazione nelle vicinanze: almeno otto uomini toccano la riva, dove li attendono le forze di polizia della Guardia Civil, pronti a consegnarli “sulla linea dell’acqua” alle forze di polizia marocchine. Espulsioni “a caldo”che secondo la sottocommissione immigrazione della CGAE (Consiglio Generale dell’Avvocatura Spagnola) sarebbero manifestamente illegali, nonostante quello che “inventa” il ministro Dìaz, che ha difeso questa pratica dicendo che è “politica di Stato” e che obbedisce a un “concetto operativo” che adatta la legislazione alle circostanze particolari delle città autonome.
Ha ragione il ministro, si tratta della fortezza Schengen che ha fatto delle migrazioni l’oggetto di una tecnologia del potere anonima, il braccio armato della legislazione che inscrive il migrante nel diritto solo per escluderlo. È l’homo sacer di Agamben quello cui siamo di fronte, ferito dalle lame nella recinzione di Mellila o che arriva a nuoto, sfinito, sotto il fragore dei colpi che solo vogliono “dissuaderlo”. È l’uomo espellibile, respingibile in mare ed infine uccidibile di quest’Europa ridotta al suo confine, alla sua frontiera esternalizzata in mare aperto o nelle enclave sulla sponda sud del Mediteranno, dove anche il diritto diventa flessibile, si fa e si disfa “in situazione”.
Ma forse, come dice il ministro Dìaz, non ha nemmeno più senso parlare di politica, di scelte di cui occorre assumersi la responsabilità, meglio fermarsi sulla soglia in cui si disperdono le colpe, all’operatività di questa governace. D’altronde, come disse l’allora ministro dell’Interno Alfano, all’indomani del naufragio al largo di Lampedusa, “uno stato che non protegge la sua frontiera semplicemente non è. L’Europa deve scegliere tra essere e non essere”. E in questa scelta, se quella dichiarata alle migrazioni è una guerra, inevitabile sarà la conta dei morti.

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