Sempre più nero e marxista. Sulla comparsa e sulla scomparsa di Amiri Baraka / 1

23 Gennaio 2014 /

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Amina e Amiri Baraka
Amina e Amiri Baraka
di Roberto Silvestri
Newark, New Jersey. Non è solo un aeroporto, piuttosto conosciuto dai turisti. E’ la città della grande cantante di jazz Sarah Vaugham. Amiri Baraka allo Skippers Pub di Newark le aveva dedicato 4 anni fa un suo poema, The Lullabye of Avon Avenue. Adesso qualcuno dovrà dedicare un poema a lui. A questo grande cittadino di Newark, scomparso qualche giorno fa. Importante capire bene dove nacque. Intanto godiamoci il video di quella serata, lo ha diretto Noah K. Murray. Si intitola The Star-Ledger.
Perché Newark fu una capitale incandescente, una base rossa occidentale nella geografia emozionale della mia generazione sessantottina. Quella rivolta transetnica, irreversibile, del 1967 contribuì a smantellare il sistema razzista e fascista dell’apartheid negli Usa. E le anime belle di quella città dettero il loro alto contributo più che situazionista. Scoprimmo che erano per la maggior parte anime belle e nere. E che il ruolo dell’artista black, avremmo poi letto nel 1966, nella raccolta di saggi Home: Social Essays, era proprio quello di “aiutare la distruzione dell’America così come la conosciamo”. Quell’uomo bianco e suprematista andava spazzato via dalla storia.

Jones, le Roi. Chi aveva scritto quelle parole era tra gli insorti del 1967, Jones, le Roi, un artista minuto di statura, di pelle scura, voce incendiaria, occhi grandi grandi, una energia e ambizione smisurata… Oggi è riconosciuto come una delle otto figure chiave della letteratura african-american di sempre, assieme a Phyllis Wheatley, Frederick Douglass, Paul Laurence Dunbar, Langston Hughes, Zora Neale Hurston, Richard Wright e Ralph Ellison, secondo la classifica di Arnold Rampersad sull’American Book Review.
Teoria e pratica. Musica e fatti. Però credo che Leroi Jones-Amiri Baraka abbia più degli altri contribuito ad alcuni cambiamenti concreti. Per esempio. Senza il suo appoggio e attivismo, anche nella comunità ispanica e delle altre minoranze etniche, nel 1970 non sarebbe mai stato eletto il primo sindaco nero di Newwark, Kenneth Gibson, primo african-american a guidare una metropoli Usa.
America 1958. Ma se non riusciamo a far capire il sapore dell’epoca ai giovani di oggi, che neanche le comiche di Charlot e i muti di Oscar Micheaux hanno mai visto in primetime tv, e con difficoltà mettono in ordine le memorie del passato, ricordiamo che si viveva in un mondo che considerava normale, quasi un atto dovuto, supersfruttare chiunque non avesse che il proprio corpo da vendere; dividere i gabinetti per bianchi da quelli per ‘colored’; linciare o impiccare i nigger più impertinenti; ammirare sui quotidiani le foto dei marines spedite alle mogli, che li immortalavano, sorridenti, con le teste mozze dei vietcong in mano.
E siccome il New Yorker se la cava, oggi, per raccontare la vita e le opere di Leroi Jones o meglio Amiri Baraka, focalizzandosi soprattutto sulla sua epoca hipster e beat, e prediligendo il privato, attraverso le memorie della sua prima moglie (dal 1960 al 1965), culturalmente a la page, ma politicamente meno appassionata, perché oggi i tempi sono cambiati, l’ideologia della non ideologia trionfa, vorremmo contribuire con questo ricordo a un nuovo cambiamento dei tempi. Oltre che parlare di cinema.
Amiri il rosso. Non si può rendere omaggio a Baraka senza parlare della sua militanza politica avveniristica, del suo glocal-maxismo, o senza nominare il Congress of African People (o dimezzandolo, ricordando solo la sua anima gemella culturale, il Black Arts Movement) come se non fosse quella la sezione aurea del suo intervento artistico-culturale. E i suoi sette figli, tutti politicamente impegnati e attivisti artistici, che il padre ha sempre fiancheggiato e aizzato. E i suoi drammi esistenziali: il diabete, che lo affliggerà sempre. La morte violenta di una delle tre figlie, Shani, nel 2003. L’assassinio della sorella Kimako, attrice, danzatrice e coreografa, nel 1983. L’accusa di essere troppo violento nel suo fraseggio (sempre). E quello di essere antisemita, a causa di una poesia, scritta dopo l’11 settembre, Somebody blew up America, nella quale utilizzava come materiale poetico la leggenda metropolitana del gruppo di ebrei che, avvertito del probabile attentato, non andò a lavorare alle Twin Towers quella fatale mattina. Una poesia che lui mai rinnegò di aver composto ma che gli costò – immaginiamo il suo dolore – la perdita simbolica del titolo di ‘poeta laureato’ dello stato del New Jersey. Ma torniamo indietro nel tempo
Il ghetto di Newark saltò in aria – per iniziativa autonoma proletaria – il 12 luglio del 1967 (26 morti) nel corso di uno dei tanti riots neri (San Francisco, Detroit, dove i morti furono 43, centinaia i feriti, migliaia gli arresti: ma ben 329 rivolte scoppiarono in 257 città, durante tutti gli anni sessanta) che misero con le spalle al muro il sistema riformista, poliziesco e inguaribilmente segregazionista Usa; il consenso popolare alla “lotta alla povertà” del presidente democratico Lyndon Johnson; il metodo pacifista di lotta african-american di Martin Luther King (che infatti cambio passo e fu subito assassinato) e l’aggressione anticomunista scatenata in Vietnam e nel sud-est asiatico. La democrazia ogni tanto si inceppa. Bisogna dargli qualche botta in testa per farla ripartire… Ma non sempre riparte.
Cointelpro for ever. Tutto questo, infatti, in un crescendo tipico di quel decennio (ne sappiamo qualcosa in Italia) di orrori e terrori militari, esteri e interni: il programma nuovo di zecca dell’Fbi “Cointelpro”, per esempio, ovvero la lotta senza quartiere diretta dall’Fbi (scatenando provocazioni, inventandosi trappole, seminando zizzania, producendo macchina di fango e ‘sbatti mostri in prima pagina’ a gogò) contro i neri ribelli, indocili e sovversivi, e le loro organizzazioni politiche, fu applicato scrupolosamente per incarcerare senza prove (Angela Davis) ed eliminare moralmente o fisicamente, e senza troppe seccature, molti proletari drasticamente critici: le “quattro bambine di Birmingham”, Medgar Evers, Martin Luther King, Malcolm X, Bobby Hutton, Fred Hampton, Mark Clark, John Huggins, Alprentiche “Buntchy” Carter, Jimi Hendrix (altro che eroina!), i fratelli Soledad, l’intera struttura del Black Panthers Party, etc… Dunque quando sentite alla tv che si spediscono pallottole o bombe nelle case dei politici, chessò, filo Tav, per prima cosa chiedetevi. Come mai il giornalista non va prima in questura a indagare se per caso non siano stati magari loro a spedirle per primi? Un tribunale di riconciliazione in Italia cosa si aspetta a creare?
Spionaggio totale. Richard Nixon seppe approfittarne politicamente, del trambusto che aveva così ingegnosamente creato, per diventare poi presidente (1969-1973) e peggiorare le cose. Per esempio, Cambogia a parte, creando una rete interna foltissima formata da 7000 agenti informatori-provocatori-pusher nei ghetti che spiavano diffondevano falsità ed eroina o fabbricando una ingegnosa legge anti riot che permetteva l’arresto arbitrario (e federale) di chiunque fosse fermato per assembramento sedizioso (in tre o più) nel caso avesse precedentemente fatto solo telefonate interrurbane o spedito lettere fuori del proprio stato).
The Black Power Party. Ma tutto questo sanguinoso ribollire sociale ci fece conoscere, anche in Europa, ‘nero è bello’, la grandezza dell’arte, della cultura e della cultura politica degli african-american, che da schiavi erano diventato cittadini americani, di più avanzata generazione (come vedremo poi anche alle olimpiadi, a Miss Mondo e sui campi di basket e d’atletica). L’affermative action si vede perché fa tanta paura ai reazionari. Perdono la testa, delirano, lo chiamano razzismo alla rovescia. Per questo Lincoln di Spielberg è il più grande film del decennio. Come si dice in Fai la cosa giusta. Dagli anni 80 in poi qualunque ragazzino al mondo ha desiderato consciamente o inconsciamente essere Michael Jackson.
Black is beautiful. Scoprimmo chi erano e che erano così vicini alle nostre lotte e sensibilità scrittori, musicisti, leader politici, organizzazioni, modelle e moltitudini insorte nei e coi capelli crespi: Rap Brown, Jim Brown, l’Sncc, il Core (Congress of Racial Equity), Antonio Fargas, Stokely Carmichael, Tamara Dobson, Watts messa a fuoco nel 1965, il detective ammazzacattivi Shaft, la Motown, Jim Kelly, il free jazz, Huey Newton, la Lega degli operai neri di Detroit, Martin Glaberman, Pam Grier, C.L.R. James e il suo iper-comunismo antillano post-trotziska, Mumia Abu-Jamal e… Leroi Jones.
Imam Amiri Baraka. Fu arrestato infatti proprio nel corso di quella rivolta di Newark, e poi condannato a due anni e mezzo di carcere (ne scontò molto meno), il poeta, drammaturgo, saggista intellettuale, militante nazionalista nero, musicista, pittore e rivoluzionario internazionalista, allora trentatreenne, Everett LeRoi Jones, laurea alla Howard University (e in quel campus gettò via quell’Everett), studi alla Columbia, tre anni di servizio militare in aviazione (espulso per letture comuniste non consentite), morto qualche giorno fa a 79 anni e che proprio a Newark era nato durante la grande depressione il 7 ottobre del 1934. I genitori gli insegnarono a lottare per il proprio popolo e ad amare la musica. Il papà era postino. La mamma assistente sociale. Leroi suona il piano, la tromba e la batteria.
Come in un film di Spike Lee. Cresce, artisticamente, al Greenwich Village di Manhattan, vivendo la boheme del Lower East Side, ascoltando be-bop al Blue Note e al Village Vanguard, o come si chiamavano allora i club di punta in quegli anni, fondando Yugen, una rivista letteraria assieme alla sua ragazza bianca, colta ed eccentrica, Hettie (autrice dell’autobiografia How I Became Hettie Jones), frequentando il pittore Bob Thompson e gli scrittori white e ribelli Charles Olson, Frank O’Hara e Gilbert Sorrentino, pubblicando con le sue case editrici, la Totem Press e la Floating Bear (in coproprietà con Diane Di Prima) i poeti della beat generation, trasferendosi poi nella più protetta Harlem, dopo l’assassinio di Malcolm X (1965). A casa sua per un certo tempo vive Nina Simona. John Coltrane è uno degli amici più stretti, assieme a quel nero alto e dagli occhi azzurri che viene da Trinidad e che sa tutto di Shakespeare, Marx, cricket e The Mighty Sparrow. Una testa rinascimentale che gli farà da maestro rivoluzionario, James Cyril Robert James.
I tre mondi alla riscossa. Infatti, intanto, politicamente, si entusiasmava per la grande stagione del terzo mondo insorgente, dalla vittoria maoista del 1949 alla liberazione cubana dalla dittatura Batista di 10 anni dopo, dai movimenti indipendentisti africani (non solo algerini) al progetto socialista di Nkumah in Ghana.
Le sue letture? Oltre a Burroughs, Corso e Kerouac, Aimé Césaire, Ngugi Wa Thiong’o, Amilcare Cabral, Agostino Neto, Nelson Mandela, Nyerere, Sekou Touré, W.E.B. DuBois e George Padmore, i mille volumi dell’amico C.R.L. James e Frantz Fanon (e in particolare Pelle nera, maschera bianca e I dannati della terra che, come si sa, restano tuttora i libri d’afffezione di Bossi, Maroni e Calderoli).
Questo articolo è stato pubblicato sul blog di Mariuccia Ciotti e Roberto Silvestri il 13 gennaio 2014

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