Canale di Panama: lavori in fibrillazione tra costi alle stelle e diplomazia

7 Gennaio 2014 /

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Canale di Panama - Foto di Luca Cerini
Canale di Panama - Foto di Luca Cerini
di Angelica Erta
Un’opera faraonica, una gara al massimo ribasso e un grande consorzio con il giusto mix d’internazionalità che ne esce vincitore. Su queste basi prende il via nel 2007 il progetto di ampliamento del Canale di Panama, assegnato al Grupo Unido por el Canal (GUPC), guidato dalla spagnola Sacyr con un 48% e composto dall’italianissima Impregilo, dalla belga Jan de Nul e dalla panamense CUSA. L’appalto perfetto per respirare fuori dalla crisi europea e agganciare l’onda della crescita, in quei paesi in cui si può ancora parlare di valori oltre gli stiracchiatissimi uno due per cento di casa nostra. All’apparenza un’enorme boccata d’ossigeno per Sacyr, duramente colpita dalla bolla immobiliare che aveva fatto entrare in crisi il settore delle costruzioni spagnolo, almeno fino a pochi giorni fa, quando giunge l’annuncio dello stop dei lavori, a metà del guado, con un progetto realizzato al 65%.
La minaccia dell’abbandono definitivo del progetto se entro 21 giorni il Governo panamense non paga 1200 milioni di euro addizionali per costi imprevisti, più del 50% del budget iniziale. Una missiva che spezza l’idillio fra l’Autoridad del Canal de Panamà (ACP)e il Consorzio, paventando, come da clausole contrattuali, un arbitrato a doppio turno; prima davanti alla Junta de Resoluciòn de Conflictos, e poi in caso di mancato accordo fra le parti, in sede internazionale, a Maimi, sotto la Legge Federale competente in materia degli Stati Uniti. Molto probabilmente non si arriverà a tanto, visto il già iniziato tam tam della diplomazia internazionale; la ministra dello sviluppo spagnola Anna Pastor sarà in viaggio verso l’altro capo dell’Atlantico la prossima settima, per un colloquio con il presidente panamense Riccardo Martinelli, mentre quest’ultimo ha già fissato un incontro, a breve, con gli ambasciatori spagnolo e italiano presenti nel Paese.

Ma le avvisaglie che qualcosa non stava andando per il verso giusto c’erano già tutte, e da qualche mese. Almeno da quando le imprese in subappalto denunciavano ritardi nei pagamenti che, quando arrivavano, si vedevano arbitrariamente decurtati. O forse il progetto traballava fin dalla prima planimetria, almeno secondo l’impresa concorrente nella gara d’appalto, la statunitense Betchel. L’offerta è un azzardo, tanto bassa da non permettere nemmeno di gettare il cemento: erano queste le dichiarazioni confidenziali che trapelavano dall’Ambasciata degli Stati Uniti in Panama, filtrate da Wikileaks e pubblicate da El Pais nel 2010.
L’offerta di 3120 milioni di dollari di Sacyr (2300 milioni di euro al cambio attuale) aveva stracciato quella della concorrenza, 4200 milioni di dollari, tanto da rendere quasi “prevedibile” un gioco al rialzo in cui la mossa successiva sarebbe stata il tentativo di rinegoziare il contratto, una volta preso atto dell’insostenibilità di quanto preventivato.
Al netto d’intercettazioni e speculazioni, resta il fatto che il budget presentato da Betchel, che perse l’appalto, aveva fatto centro circa il costo finale dell’opera. Sacyr si difende accusando l’Autoridad del Canal, cui imputa il mancato compimento degli obblighi contrattuali, in particolare l’inesattezza delle informazioni fornite al consorzio per l’esecuzione del progetto, fra cui la disponibilità in loco di materiale da costruzione e gli eventi imprevisti verificatisi, qualcosa d’abituale in progetti di tale entità, almeno secondo i costruttori.
A completare il quadro i riflessi che si sono visti immediatamente anche sul piano finanziario, con una caduta del 18.7% delle azioni di Sacyr dopo l’annuncio della paralisi dei lavori. Un castigo giunto dopo che la società avesse tentato, fino alla fine, di mantenere un’immagine di normalità, contabilizzando come entrate i costi aggiuntisi nel corso della realizzazione, nonostante non fossero stati né riconosciuti né tantomeno liquidati dalle Autorità del Canale. Un criterio contabile che è stato utilizzato dalla società e reso noto nella domanda di chiarimenti espressa dalla Commissione Nazionale del Mercato dei Valori. Un ultimo risvolto finanziario che complica ulteriormente la situazione e rende ancor più difficile, nonostante gli equilibrismi della diplomazia, portare a termine il progetto con un margine di profitto.

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