Breve e sommaria rilettura del Gattopardo di Visconti

29 Novembre 2013 /

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Il Gattopardo
Il Gattopardo
di Rudi Ghedini
Della magnificenza della messa in scena e della grandezza dell’artigianato italiano in quel 1962-63 in cui il film fu concepito e realizzato, dirò solo che si rimane stupefatti a pensare che film simili si facessero in Italia. Della rilettura “di sinistra” che Visconti seppe fare di un capolavoro scritto cinque anni prima da un anziano conservatore, e per di più nobile, hanno scritto in tanti.
Della felicissima scelta di Burt Lancaster, mai così imponente fuori dal noir e dal western, ha parlato diffusamente il produttore Lombardo, ricordando la diffidenza di Visconti, che si sciolse fin dal primo incontro, e i dubbi della star americana, che non aveva mai visto niente del maestro italiano.
L’unico appunto che mi sento di suggerire – a chi avrà la fortuna di recuperare il capolavoro restaurato – è a proposito del Potere. Il principe di Salina è l’unico che ha trovato la misura del Potere, l’unico che non lo insegue, non lo idolatra, non lo rimpiange. Solo lui sa vederlo per quel che è, e non ha paura di perderlo.

Gli altri, tutti gli altri, sembrano mosche impazzite contro una lampadina, attratte dalla voluttà del Potere, nelle sue infinite sfrangiature: politica, affari, lusso, privilegi, eccetera. Uno dei peccati mortali della sinistra italiana – nell’ultimo quarto di secolo – è aver smesso di fare i conti con il Potere, e anche questo spiega le leadership improvvisate, i “nuovi inizi” apparenti, la perdita di presa sulla società, il culto dei “tecnici”, i penosi trasformismi, gli sbandamenti ideali, la ciclica “questione morale”.
Parafrasando Kennedy a Berlino, vedi un film come questo e capisci che siamo tutti siciliani.

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