di Samuel Bregolin. Foto di Thèrèse Di Campo
Al Cairo esiste una zona che riunisce e concentra tutte le contraddizioni di questa enorme megalopoli. Siamo a Mansheya Naser nel quartiere di Mokkatan, un quartiere ricco, benestante, con banche e ristoranti, con auto berline che circolano su strade pulite. A Mansheya Naser invece si vive tra le immondizie, tra sacchi enormi di plastica lurida, riempiti di rifiuti. A Mansheya Naser lavorano circa 15’000 zabaleen: i raccoglitori di immondizie.
Al Cairo non esiste un efficiente servizio di recupero e smistamento rifiuti, non esistono neppure i cassonetti. La maggior parte della popolazione getta i propri rifiuti quotidiani agli angoli delle strade, dei marciapiedi, ovunque ci sia uno spazio tra l’esercito di macchine, tuc tuc, minibus e negozi. Tra i rifiuti si trova di tutto: borse di plastica, scarpe vecchie, copertoni, resti organici e nelle zone periferiche addirittura mucchi di materiale edile, montagne di cartacce, asini morti stecchiti e ricoperti dalle mosche.
I Zabaleen del Cairo sono gli unici che si occupano di recuperare questi rifiuti, avendo fatto del riciclaggio la loro unica umile fonte di sostentamento. Con l’aiuto di Soy association, una ONG che aiuta gli abitanti di Mansheya Naser in difficoltà entriamo nel quartiere. L’associazione ha sede all’interno del santuario di San Simon, un luogo di preghiera ortodosso molto visitato dai turisti, il santuario è al centro di Mansheya Naser ed è circondato da immondizie, anche qui: un’altra contraddizione.
Uno degli aspetti che attira subito l’attenzione a Mansheya Naser è la puzza: di plastica, cartacce, di polvere, grasso, smog, cibo avariato, sciami di mosche. Sembra che la città intera abbia concentrato qui i suoi odori. Incontriamo Mehdat, uno zabaleen che raccoglie le immondizie dalla città e le differenzia qui, a Mansheya Naser, in un grande scantinato colmo ad ogni angolo da sacchi pieni di plastiche differenti.
“Conosco le zone dove trovare le migliori immondizie, ogni quartiere ha le sue. Massaken e Giza non vanno bene, lì ci sono prevalentemente resti organici, di solito ci passiamo nel pomeriggio”, continua: “Io invece cerco le zone dove c’è molta plastica, e cartoni, gomma. Tutti materiali che posso caricare sul camion e rivendere”. Mehdat ritorna a casa nel pomeriggio con un carico di alcune decine di enormi sacchi di plastica, caricati pericolosamente in bilico sul cassone e legati con lunghe corde.
Qui con la moglie e i tre figli: Cosim, Hammar e Sammer comincia la separazione. “Separiamo le plastiche di tipo diverso: quelle delle bottiglie non è la stessa plastica dei sacchetti per la spesa. Una volta fatto questo le dividiamo anche per colore, la plastica bianca è quella di maggior valore”. I cartoni vengono appiattiti e impilati, le bottiglie di plastica schiacciate e separate dal tappo colorato formano grandi cubi, impilati uno sopra all’altro sul bordo strada. Il tutto circondati da sciami di mosche e insetti e dal calore che aumenta terribilmente le esalazioni dei rifiuti.
Nel suo grande magazzino, di qualche centinaio di metri quadrati, Mehdat passa il resto della giornata, a volte addormentandosi su qualche cumulo di plastica. Quando avrà raccolto abbastanza chili di un solo tipo di plastica potrà venderli ad Amin.
Amin ha 30 anni e si occupa di comprare le plastiche riciclate dagli zabaleen del quartiere, è il proprietario di una macchina meccanica a gasolio, con un grande imbuto anteriore dove inserire le varie plastiche, che escono macinate in piccoli pezzetti dal lato opposto. Amin venderà i sacchi di plastica ridotti in pezzettini a delle imprese private, che una volta riempiti i magazzini li rivenderanno ad altre fabbriche estere, in prevalenza cinesi.
Amin guadagna 200 lire egiziane ogni tonnellata di plastica venduta, circa 20 euro. Mehdat invece, come tutti gli zabaleen del quartiere guadagna ancora meno: “15 lire egiziane ogni chilo di plastica ben separata e differenziata” dice, “Un guadagno che devo riuscire a far bastare per tutta la famiglia, e per questo devo lavorare in media dodici ore al giorno”. “Vorrei riuscire a far studiare mio figlio” aggiunge alla fine con un tono commosso.
A Menshaya Naser si respira un clima sereno, i bimbi si rincorrono e giocano a nascondino dietro a qualche camion pieno di rifiuti, alcuni anziani chiacchierano bevendo il Tcai e fumando la Shisha in uno dei bar presenti. Mansheya Naser è l’unico quartiere del Cairo dove nelle macellerie si vende carne di maiale: intere cosce sono appese all’esterno, protette da un panno bianco bagnato, nelle vetrine si espone mortadella, salsicce e prosciutto cotto. Gli zabaleen di Mansheya Naser sono prevalentemente copti ortodossi, e quindi per loro non vige il divieto coranico di non consumare carne di maiale.
Ma da dove arrivano queste carni e questi insaccati se lo stato egiziano proibisce l’importazione dall’estero di carne di maiale e l’allevamento interno? I maiali sono allevati direttamente dentro al quartiere. Nascosti in qualche cantina o sottoscala, probabilmente in alcuni casi condividono addirittura le misere abitazioni con i proprietari. I maiali di Mansheya Naser si nutrono di rifiuti organici, verdure marce, ossa di altri animali, resti di ristoranti e quant’altro gli zabaleen possano recuperare in giro per il Cairo.
Sono pochi oggi i maiali allevati in segretezza nel quartiere, fino a qualche anno fa invece, erano molto più numerosi e scorrazzavano liberamente lungo le vie del quartiere, con la stessa familiarità di una mucca indiana. Poi, premuto dalle terribili condizioni igieniche e sanitari presenti nel quartiere e impaurito dalla propagazione di malattie il governo di Mubarak ha provveduto a uccidere tutti i maiali presenti, confermando la credenza popolare che il maiale sia un animale sporco e malsano.
Mehdat dice di essere felice del proprio lavoro, dice stropicciando i capelli arruffati del figlio: “Ci saranno sempre immondizie in giro per la città, il lavoro non ci mancherà mai. Qui siamo tranquilli, non subiamo la concorrenza e ci sono talmente tanti rifiuti che il mercato non potrà crollare mai”. Amin invece è più ambizioso: “Non voglio cambiare lavoro, qui sto bene. Però vorrei acquistare una macchina a gasolio più grande, per poter comperare più plastica dagli zabaleen del quartiere e ingrandire la mia attività”.