La partigiana olandese ospite a Correggio: "Così ci opponemmo al regime nazista"

9 Maggio 2013 /

Condividi su

Mirjam Ohringer
Mirjam Ohringer
Dal 26 al 28 aprile scorso Correggio ha ospitato la European Resistance Assembly – ERA, la tre giorni organizzata in provincia di Reggio Emilia e dall’Istoreco con l’Anpi e il Comune di Correggio e l’Associazione Materiale Resistente. Tra gli ospiti c’era la partigiana olandese Mirjam Ohringer ed ecco di seguito la sua testimonianza
di Gemma Bigi. Ha collaborato Adriano Arati, ufficio stampa ERA
Mirjam Ohringer è nata nel 1924 ad Amsterdam da una famiglia di origine ebraica proveniente dalla Galizia. Dopo l’occupazione dell’Olanda nel 1940 da parte della Wehrmacht inizia la sua resistenza: raccogliere soldi per far arrivare clandestinamente i fuggiaschi dalla Germania, trasportare messaggi, distribuire volantini contro l’occupante.
Aveva sedici anni questa ragazza, aveva il terrore di venire scoperta e deportata, ma ha continuato a resistere e oggi, ad anni di distanza, ricorda quei volti, quelle persone che hanno insegnato a lei e ai suoi compagni come comportarsi per far fronte al nazismo. Ricorda i suoi famigliari e i tanti amici che non hanno potuto vedere al fine della barbarie. Era spinta dalla passione politica, dalla consapevolezza di chi era e dalla voglia di stare dalla parte giusta.

“Dico sempre che ho avuto due grandi ispirazioni, Carl Marx e Mosè. E dovrò sempre ringraziare i miei genitori per l’esempio che mi hanno dato. Negli anni della guerra e anche dopo”, ha spiegato. “Ricordo ancora la ‘tirata di orecchie’ che mi diede mio padre per il mio comportamento avventato a scuola, quando lasciavo trasparire cosa pensassi. Mi è servito, sono riuscita a controllarmi e ad andare avanti, anche se era difficile vedendo le mie compagne di classe vessate, ma così sono poi riuscita ad aiutare gli altri”, ha aggiunto. “I miei genitori non si sono fermati, hanno sempre continuato ad essere di ispirazione per me, aiutando tutti quelli che potevano. Ed anche negli anni dopo la guerra si sono sempre impegnati”.
Mirjam ha poi raccontato la tensione, la paura di quei giorni. “Tutto era difficile, dovevamo procurare denaro e sostegno a chi fuggiva, c’erano tantissimi controlli e non ci si poteva fidare di nessuno. Spesso ero da sola, senza poter chiedere aiuto. Se dovevo informarmi su una potenziale casa sicura dovevo trovarla da sola, in zone della città che non conoscevo, e non potevo chiedere informazioni a nessuno, sarebbe stato un rischio. E Amsterdam è grande”, ha ricordato. “Per fortuna, queste persone che aiutavamo ci hanno dato a loro volta tanti consigli. Loro erano scappati dai nazisti, li conoscevano e ci hanno spiegato come comportarci”.
Il pensiero, inevitabilmente, è andato a chi non è sopravvissuto: “Eravamo in tanti, giovani e giovanissimi, molti non ce l’hanno fatta, e tanti altri ovviamente se ne sono andati con l’età. Non siamo riusciti a salvare tutte le persone che abbiamo incontrato, ma tante sì. Il loro ricordo è sempre con me, e come ho detto adesso dobbiamo ricordare, per non farci più ingannare”.
E ad ERA Mirjam l’ha dimostrato questo dovere della memoria, l’ha insegnato con l’esempio, non limitandosi – che con l’età e il viaggio sarebbe stato comunque comprensibile – a salire sul palco e dire, ma vivendo in mezzo ai ragazzi che, dopo le testimonianze organizzate, si fermavano a parlare con lei ai tavoli allestiti nelle vie del paese, curiosa di tutto, felice ed entusiasta di quegli incontri. Tanto da allungare il suo viaggio il più possibile. È arrivata in Italia nella notte del 24 aprile e il 25 ha voluto partecipare ad alcune iniziative a Reggio Emilia, per conoscere i resistenti italiani. E dopo il suo intervento non è tornata a casa, trattenendosi il più possibile a Coreggio per assistere alle altre iniziative e condividere, nel vero senso della parola, la sua storia, regalarla a chiunque volesse ascoltarla e capirla.
Ecco così l’incontro di Mirjam con Lidia Menapace e con Avio Pinotti, storico comandante partigiano di Correggio, storie simili di scelta, paura e impegno attive tutt’oggi. Storie che è stato un privilegio incontrare e ascoltare come sanno bene gli organizzatori. “È sempre più difficile – hanno dichiarato – portare ai giovani testimonianze come queste. Sono testimonianze uniche, con cui ci si può confrontare, a cui si può chiedere e da cui si possono ottenere risposte”.
Il grande risultato di ERA è stato rendere possibile, ancora, l’incontro fra generazioni, storie e culture, avviando una riflessione su come mantenere vivo questo fiore resistente nel nome dell’antifascismo.
Questo articolo è stato pubblicato sul sito dell’Anpi

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati