di Sergio Caserta
Le proposte della Fiom su reddito, salario e orario sono al centro di una giornata di riflessioni in programma per martedì prossimo, 30 aprile, a Bologna. È stata organizzata perché “non possiamo più aspettare” e a parlarne sono tanti i relatori invitati, tra i quali Maurizio Landini, Stefano Rodotà, Marco Revelli e Sergio Cofferati, solo per citarne alcuni. In vista di questo appuntamento Bruno Papignani, segretario della Fiom-Cgil dell’Emilia-Romagna, pone alcune considerazioni preliminari per comprenderne premesse e finalità.
Quello del 30 aprile è un convegno o comincia già l’opposizione al governo “delle larghe intese” o “del presidente”?
Il convegno era previsto già prima che succedesse quello a cui tutti abbiamo assistito, era una iniziativa tesa a proporre a un eventuale governo di cambiamento temi importanti come il reddito di cittadinanza e la riduzione dell’orario di lavoro anche in forme di solidarietà per salvaguardare l’occupazione. Chiaramente la prospettiva che abbiamo di fronte della grande coalizione ci propone uno scenario di continuità col Governo Monti, quindi anche il nostro convegno assume un significato diverso. Ricordo che questa iniziativa vuole contribuire a riempire di contenuti la manifestazione nazionale che la Fiom ha indetto per sabato 18 maggio a Roma, con una parola d’ordine eloquente: NON POSSIAMO PIÙ ASPETTARE.
Lavoro e welfare sono “sotto attacco”, si può dire anche “all’angolo”, e c’è bisogno di una svolta nella politica economica. Cosa proponete come provvedimenti più urgenti?
Il welfare, più che sotto attacco, è stato distrutto, ormai il privato si sta sostituendo al pubblico ai diritti universali, scuola, sanità, pensioni, eccetera. Bisogna riprogettare tutto il sistema, una nuova politica economica e industriale, occorre reinventarsi un soggetto politico in grado di portare avanti un nuovo progetto: riduzione di orario, reddito di cittadinanza, ammortizzatori sociali universali, salario minimo contrattuale, diversa politica industriale sono alcuni dei temi che proponiamo dentro a una proposta più complessiva per iniziare a mettere in discussione il modello di sviluppo che a parole tutti dicono che non va bene. Nella realtà tutte le azioni lo alimentano provocando profonde ingiustizie sociali.
L’espressione “reddito garantito” o “sociale” si sente spesso. Alcune proposte sono vacue mentre altre, come quelle di San Precario, presentano prospetti per coperture economiche e fattibilità. Qual è la vostra posizione?
Il reddito di cittadinanza esiste in varie forme in 24 paesi europei. Per quanto ci riguarda lo pensiamo come fase finale, quando non ci sono più ammortizzatori sociali che vanno estesi, quando un lavoratore è disoccupato e non trova occupazione, non è una proposta generica le coperture si trovano e su questo abbiamo fatto proposte precise, in ogni caso la nostra proposta è aggiuntiva e non sostitutiva degli ammortizzatori sociali.
Anche a Bologna e in Emilia Romagna la crisi morde, ci sono segnali di ripresa o il quadro rimane preoccupante?
Tolto il packaging e alcune nicchie di prodotto, la situazione in Emilia Romagna è preoccupante. Stanno venendo meno i suoi tratti distintivi e nei prossimi tre anni non vedo sostanziali cambiamenti. Basti pensare alla Berco di Copparo Ferrara con i suoi 611 esuberi, Scm di Rimini con 340 esuberi, ma potrei continuare, visto che oggi i lavoratori emiliano-romagnoli metalmeccanici sottoposti agli ammortizzatori sociali sono 48 mila in 1800 aziende a cui vanno aggiunti gli artigiani. Dal 2008 hanno chiuso mille aziende artigiani che vuol dire 5 mila lavoratori licenziati. Poi andrebbero considerati i precari e i giovani che entrano nel mercato del lavoro senza trovare occupazione.
Il referendum sulla scuola pubblica a Bologna è un confronto (e uno scontro a sinistra) su principi costituzionali dirimente. La Fiom ha preso una posizione di difesa delle ragioni dei referendari. Qual è la ragione di questa posizione?
Per il referendum di Bologna ci sono ragioni specifiche che i sostenitori dell’abrogazione del finanziamento pubblico alle scuole paritarie hanno spiegato e ci hanno convinto, tuttavia il problema è generale. Oggi in tanti settori, la scuola è uno di questi, i soldi pubblici sono stati utilizzati per finanziare il privato, paghiamo tante tasse i soldi non vanno per fare funzionare meglio i beni pubblici, ma per foraggiare interessi privati, dunque per privatizzare. Occorre dimostrare che il pubblico non funziona, questo sta avvenendo. Io penso che nessuno vieta di mandare i propri figli alle private, ma non con i soldi destinati alla scuola pubblica, inoltre deve essere una scelta non un obbligo perché il pubblico non è in grado di rispondere positivamente. È il privato semmai che deve contribuire a finanziare il pubblico. Che il nostri amministratori della cosa pubblica, sostengano che per fare funzionare le cose bisogna privatizzarle è prendere atto della propria incapacità, altrimenti è una scelta politica che non condivido.
Al sindacato manca sempre più una sponda politica forte, nel frattempo il PD sembra implodere e la sinistra cosiddetta alternativa è più che mai divisa. Non è venuto il momento di un partito del lavoro e dei lavoratori?
Io penso che occorrerebbe un partito che mette le sue radici nel lavoro e nei beni comuni. Questo oggi non c’è e bisogna costruirlo senza avere la fretta di governare: ha fatto più conquiste il PCI all’opposizione che il PD al Governo. Sento molti che vogliono aprire nuovi cantieri a sinistra. Bene, però i capi cantiere non possono essere sempre gli stessi, altrimenti non andiamo da nessuna parte, basta pensare a Sel come si trova oggi nonostante le buone intenzioni, oppure a Rivoluzione Civile, un’invenzione nata male e finita peggio, non più proponibile. Il PD o quello che rimarrà è un’altra cosa, cosa c’entra con i più deboli, con i lavoratori, con i pensionati, nulla. Ammesso che sopravviva e non si disintegri, come è probabile.