di Valentino Parlato
Scrivere de «Il Calendario del Popolo» mi fa tornare alla giovinezza, al tempo della vera formazione. «Il Calendario» è una delle più longeve riviste italiane e quando uscì il primo numero, il 27 marzo del 1945, l’Italia del Nord era ancora sotto l’occupazione nazi-fascista. Fu nel clima fervido della Liberazione che il progetto prese forma, non solo per l’entusiasmo delle ritrovate libertà politiche, ma anche per l’impellenza delle nuove necessità culturali.
In vent’anni di propaganda il regime di Mussolini, oltre ai morti e alle macerie, aveva disseminato danni culturali enormi, tra i quali la cancellazione della storia del movimento operaio e popolare italiano, con le sue lotte, i suoi sacrifici e i suoi intellettuali, a cominciare da Gramsci. La sfida che assunse «Il Calendario» fu quella di ricostruire la coscienza del ruolo storico dei ceti popolari, assieme a una visione razionale e moderna del mondo.
«C’era allora da riparare i guasti compiuti dal fascismo con la sua diffidenza verso il pensiero critico, con le deformazioni in senso nazionalistico, della nostra tradizione, con l’autarchia, instaurata anche nel campo della cultura, e il cattivo gusto, l’improvvisazione, la retorica che caratterizzavano tutte le manifestazioni del regime». Così scriveva nel 1975 il comandante partigiano e critico letterario Carlo Salinari, che diresse la rivista dal 1969 al 1977.
La sezione «Stampa e propaganda» del Pci diretta da Celeste Negarville dette l’impulso e contribuì all’idea di un foglio popolare che, ricollegandosi all’esperienza pre-fascista dei calendari e degli almanacchi diffusi nelle città e nelle campagne italiane, ricordasse il passato, riproponendo episodi storici che la storiografia conservatrice o reazionaria aveva nascosto o volutamente deformato. Il progetto ebbe l’approvazione di Palmiro Togliatti, che seguì sempre con attenzione e simpatia la rivista.
Nei primi numeri – sotto la direzione dell’intellettuale napoletano Giulio Trevisani – «Il Calendario» ricordò ogni mese, giorno per giorno, eventi storici, ricorrenze, nascite e morti di personalità della politica, letteratura, arti, scienze, divenendo una sorta di enciclopedia popolare. Con Trevisani e i primi redattori c’era Renato Guttuso, che inviava i suoi energici disegni partigiani. La rivista ha inoltre sempre curato la veste grafica, potendo contare su eccellenti professionisti come Max Huber e Albe Steiner.
«Il Calendario del Popolo» ebbe da subito un notevole successo, forte della distribuzione attraverso i centri di diffusione stampa del Pci e su una capillare vendita militante e soprattutto su un grande numero di abbonati. Nella seconda metà degli anni Cinquanta con l’allentamento del controllo ideologico del Pci sulla rivista, che verrà ceduta a Nicola Teti nel 1964, «Il Calendario del Popolo» si rese protagonista di dibattiti su cinema, arte e teatro dando spazio a temi e autori fino a quel momento estranei al partito.
Nel corso degli anni divenne anche centro propulsore di molte iniziative di promozione culturale: l’Associazione dei Calendaristi, i Congressi di cultura popolare e, dal 1950, del Premio «Città di Cattolica – Calendario del Popolo» per la poesia dialettale che, fra gli altri, premiò – con Salvatore Quasimodo e Eduardo De Filippo in giuria – gli allora sconosciuti Tonino Guerra e Pierpaolo Pasolini.
Nei primi anni Novanta, mentre gli italiani iniziavano a confrontarsi con il crescente fenomeno dell’immigrazione, la rivista diede vita a un’importante iniziativa volta a ricordare la storia della nostra emigrazione in tutto il mondo, allo scopo di combattere intolleranza e razzismo. «Il Calendario» realizzò in quegli anni diverse mostre itineranti, tra le quali «Balie italiane e badanti straniere», «Macaronì e vu’ cumprà», «Suonatori, girovaghi e lavavetri», che oggi vengono riproposte, aggiornate e rinnovate.
Alla vocazione divulgativa e didattica la rivista unì anche quella innovativa e avveniristica, diventando un periodico che – attraverso interventi nei vari campi del sapere e delle arti – si propose di stimolare e accompagnare la società italiana verso l’emancipazione sociale e la libertà politica. Sotto la direzione di Carlo Salinari (1966-1977) e del grande storico del Risorgimento Franco Della Peruta (1977-2010) si rinnovò progressivamente, rimanendo fedele al disegno per il quale era stato fondato: la divulgazione della cultura e la salvaguardia della memoria storica.
In seguito «Il Calendario» si fortificò, mantenendo il suo punto di vista, proprio negli anni in cui si fece strada la cultura di massa. Per capire cosa sia stato «Il Calendario del popolo» per la cultura popolare italiana è importante ricordare ad esempio la sua rubrica cinematografica, non solo perché fu di altissimo livello – soprattutto grazie a Ugo Casiraghi negli anni Sessanta – ma perché prestando attenzione alla settima arte, la rivista mostrò di capire la centralità del cinema nella formazione del cittadino democratico del XX secolo.
Oggi il compito de «Il Calendario» torna a essere prepotentemente quello originario, come ha scritto di recente Luciano Canfora: «Il problema della democrazia è il problema delle classi escluse, illuse attraverso strumenti che possono essere anche molto sofisticati, sedotte attraverso lo schermo e condotte al consenso. Quindi il compito del Calendario è gigantesco».
La rivista ha sempre avuto un’importante apertura internazionale e, al contempo, ha cercato di spiegare i momenti più significativi della storia italiana, in primo luogo quelli della Resistenza, raccontando i conflitti anche lontani nello spazio e nel tempo, dal colonialismo all’oppressione della donna, alimentando dibattiti su letteratura, cinema e teatro. Tra i tanti hanno collaborato a «Il Calendario del Popolo» Lelio Basso, Enrico Berlinguer, Ernesto De Martino, Ludovico Geymonat, Concetto Marchesi, Cesare Musatti, Umberto Terracini.
La rivista, tuttavia, è chiamata anche a compiti nuovi: dovrà ritrovare, seppur in forme e modi diversi, l’originaria vocazione «all’alfabetizzazione» cercando di «insegnare» a usare le nuove tecnologie senza esserne usati e aprirsi, inoltre, ai linguaggi delle nuove generazioni, contando oggi sui contributi, per citarne alcuni, di Luciano Canfora, Franco Cardini, Luciana Castellina, Franco Ferrarotti. Per oltre sessantacinque anni ha svolto un’importante opera di divulgazione e ancora oggi la rivista vuole essere un ponte tra la memoria storica e l’acquisizione di nuovi strumenti critici adatti a interpretare un mondo in continuo cambiamento.
Questo articolo è stato pubblicato sulla “Domenica da collezione”, supplemento del Sole 24 Ore, domenica 31 marzo 2013