Dalla "casta" alla "svolta": per ricostruire la più grave frattura tra cittadini e partiti

18 Marzo 2013 /

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di Sergio Caserta
“La Casta”, di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo e “Il costo della democrazia” di Cesare Salvi e Massimo Villone, sono libri pubblicati tra il 2006 e il 2007, il primo ben presto diventato un “cult”, il secondo in realtà più efficace nella diagnosi degli sprechi della politica e dei possibili rimedi. Salvi e Villone, da parlamentari dell’allora DS, avevano accompagnato la pubblicazione con la presentazione di tre proposte di legge con l’obiettivo di risparmiare ogni anno più di 6 miliardi di euro. Il primo, un disegno di legge costituzionale prevedeva la riduzione a 600 del numero dei parlamentari (400 deputati e 200 senatori), l’abolizione delle province e l’introduzione di un tetto al numero dei componenti del governo con un risparmio atteso di circa tre miliardi.
La seconda proposta stabiliva la soppressione molti enti inutili, tra cui l’Autorità dell’Energia e dei Lavori pubblici, la dismissione di Sviluppo Italia e la drastica riduzione dei consigli di amministrazione delle società pubbliche a non più di tre persone. Infine, il taglio dei rimborsi elettorali dei partiti, concessi in base agli effettivi votanti, con un risparmio di sessantacinque milioni l’anno. Il terzo disegno di legge, il più importante, con riferimento all’art.quarantanove della Costituzione, proponeva drastici cambiamenti ai partiti con l’obbligo d’introdurre nella loro vita interna regole democratiche, com’è nella prassi delle più solide e avanzate democrazie.
Sappiamo com’è andata, quei disegni di legge non furono presi in considerazione e il sistema politico nel suo insieme, senza distinzioni, proseguì ad alimentarsi di privilegi e sprechi, fino ai festini di Roma, alle spese folli dei consiglieri di tutte le regioni, ai casi giudiziari eclatanti d’importanti dirigenti di entrambi gli schieramenti, alle compravendite di parlamentari e voti, fino a queste ultime elezioni con la vittoria politica indiscutibile del movimento che ha fatto dell’abbattimento di tutti i partiti e degli attuali gruppi dirigenti il suo cavallo di battaglia.

Si sarebbe potuto evitare quest’epilogo che ha sancito la più grave frattura tra cittadini e partiti? Penso di sì, se non avessimo subito in questo lungo periodo due condizionamenti risultati insuperabili: l’egemonia del berlusconismo e la rinuncia preventiva del maggior partito della sinistra a preservare alcune di quelle caratteristiche che nel passato avevano costituito gli anticorpi della sua virtuosa “diversità”.
L’egemonia di Berlusconi e del suo sistema di potere e di consenso ha pervaso la società italiana come un virus letale, fino a minare le istituzioni: l’imposizione del suo conflitto d’interesse, inaccettabile in qualsiasi altro paese democratico, il dominio su tutti i mezzi d’informazione pubblici e privati, l’affermazione di un sistema di disvalori propagandati come libertà, il cattivo gusto e la volgarità come linguaggi dominanti di rappresentazione di una realtà nella quale la compravendita delle coscienze e il rifiuto della responsabilità legale delle proprie azioni, sono diventati comportamenti normali, addirittura esaltati.
Il maggior partito di centrosinistra, il PD, come ha reagito da parte sua a questa degenerazione della politica? Se l’ha fatto, si è trattato più che altro di un riflesso di difesa, tramortito dall’irruenza di Berlusconi e del suo mondo, se non addirittura ammaliato dallo sfavillio della sua personalità autocratica.
Il berlusconismo è dilagato come modello negativo ma di successo, e, infatti, in questo periodo la politica si è “fatta persona”, l’enfasi sul partito del leader, il decisionismo oligarchico, mascherato da esigenza di governabilità sono stati i tratti distintivi di tutto il sistema politico italiano, non c’è stata alcuno vera resistenza, anzi la cifra del consenso, è stata dettata dalla quantità di apparizioni televisive, dalla cosiddetta visibilità, come se essi garantissero di per sé la qualità e le prerogative di essere “classe dirigente”, fino al break down di Grillo che ha operato un vero e proprio rovesciamento della situazione.
È così che nonostante i continui scricchiolii e le avvisaglie della perdita di consenso, il PD non è riuscito, o forse semplicemente non ha voluto, rappresentare un’alternativa chiara e netta di valori a quelli della destra, anzi ha inseguito e proclamato a lungo, la mancanza di differenze sostanziali come elemento di un nuovo corso politico, tranne le brevi parentesi dei due governi Prodi, finiti non a caso entrambi prematuramente.
Così tutti i partiti, nessuno escluso, hanno tranquillamente condiviso l’aumento abnorme delle remunerazioni per le cariche elettive a ogni livello, fino a cifre insostenibili e ingiustificabili sotto ogni profilo, hanno lasciato che proliferassero comitati d’affari, mentre si sono inseguiti metodi discutibili di gestione della finanza pubblica, si è incoraggiata una politica di dissennato consumo di suolo e di grandi opere costose e inutili, perseguendo la para-privatizzazione di aziende pubbliche, in nome di una concezione mercatista dello Stato.
L’assuefazione all’andazzo, ha contaminato anche i partiti della cosiddetta, e ormai defunta, sinistra alternativa: a fini di potere la democrazia interna è stata ridotta a larva, attraverso il silenziamento di qualsiasi critica e l’emarginazione di chiunque manifestasse opinioni dissenzienti. L’accesso a cariche pubbliche la prevalente, se non in molti casi la sola ragione d’impegno; la formazione dei gruppi dirigenti fondata sul solo consenso, la pratica di far finta di non vedere e non sentire tutto quello che non andava, in nome dell’unità, della “stabilità” delle alleanze, della governabilità a prescindere. Ciò è avvenuto nello stesso tempo, ai livelli più alti come nelle istituzioni locali, determinando il crollo di credibilità e di consensi.
Fino alla perdita di ogni funzione e senso della ragione della propria esistenza politica, questa è stata la parabola di tutti i partiti della cosiddetta sinistra alternativa, non esclusa Sinistra, Ecologia e Libertà, che è riuscita a entrare in Parlamento, ma non può certo vantare un successo, ridimensionata al 3%.
Una sinistra piegata dal dominio anche culturale del liberismo e dal darwinismo sociale, il cui stesso termine sembra sparito dal vocabolario politico, una parola che suona ora, nell’immaginario collettivo come falsa, negativa, fallace, mentre sappiamo che una sinistra nella società e in qualsiasi paese, non può non esistere e svolgere la sua funzione, soprattutto in circostanze così gravi per il mondo del lavoro e per i più deboli, come lo sono le attuali.
Come si affronta questo nodo gordiano? Certo non più con operazioni di superficiale maquillage, acquartierati nei propri miseri fortilizi, ormai peraltro diroccati: occorre un ripensamento dalle fondamenta che fornisca alla domanda sull’utilità di una sinistra politica risposte efficaci, un lavoro immenso che bisogna pur cominciare.
Non certo estranea alle difficoltà della sinistra e alla sua perdita di egemonia, è lo stato di crisi, finora disconosciuto, in cui versa da lungo tempo lo stesso sindacato in Italia: crisi dei rapporti unitari e di rappresentatività, anche in questo caso sarebbe necessaria e urgente una profonda riforma della sua struttura complessiva.
Con una crisi economica, sociale e politica di queste dimensioni, il consenso a Grillo è stato per milioni di elettori sfiduciati l’unico modo di manifestare attivamente e non con l’astensione, la ribellione a uno stato di cose insopportabile; la situazione di degrado del paese ha raggiunto livelli inauditi, da una parte le miserie e l’incapacità conclamata di Berlusconi e della destra, dall’altro l’inadeguatezza della sinistra a costruire una reale e convincente alternativa, e in mezzo un anno e più di Governo Monti che ha deluso molto più di quanto potessero pensare anche i meno prevenuti.
La crisi economica sembra non avere fine e non è da escludere che possano anche scoppiare rivolte sociali, oggi si contano i suicidi tra imprenditori e disoccupati, domani la gente disperata potrebbe rivolgere la sua rabbia contro altri cittadini oltre che contro le istituzioni; una manifestazione di lotta molto dura è stato lo sciopero degli autisti dell’azienda di trasporto pubblico di Bologna, ma ci sono l’ILVA, Melfi, il Sulcis, la Bridgestone, le centinaia e centinaia di aziende fallite o sull’orlo del tracollo, il rischio della fine delle risorse per i milioni di cassaintegrati, la crisi del paese si può avviluppare e spingere tutta la situazione verso uno sbocco imprevedibile.
Non s’improvvisa una svolta senza una visione e un progetto strategico di società, senza competenze e coraggio, occorre un clima politico del tutto nuovo, i gruppi dirigenti delle forze politiche, anche quelle del M5S devono assumersi la responsabilità di dare un governo al paese, anche breve, ma
tale da consentire di prendere alcuni provvedimenti urgenti e indilazionabili:

  • 1. una nuova legge elettorale (che sia rispettosa del dettato costituzionale in tema di rappresentanza e di scelta degli elettori);
  • 2. una legge sul finanziamento dei partiti e sulla remunerazione degli incarichi pubblici, con drastica riduzione degli importi;
  • 3. una legge sul conflitto d’interesse in tutti i campi della vita pubblica;
  • 4. la rinegoziazione del “fiscal compact”;
  • 5. provvedimenti urgenti e straordinari per il lavoro e per l’impresa: salario sociale, piano straordinario di opere pubbliche, finalizzazione produttiva della spesa pubblica.

Per fare questi provvedimenti occorre un governo a termine ma efficiente, che possa formarsi su una maggioranza circoscritta alle cose da fare: la mediazione tra i partiti che hanno la vocazione ad attuare un simile programma può comportare accordi alla luce del sole e mediazioni chiare, senza doppie intenzioni, in cui i nomi di chi dirige e compone il governo siano stabiliti sulla base delle esigenze del paese e non delle segreterie o dei leader.
Un governo di tregua e di lavoro, composto di personalità capaci, se ci sono all’interno dei gruppi parlamentari, ma anche all’esterno se ciò è necessario e utile; prendiamo questa volta esempio dalla Chiesa che è riuscita, sembra questo il tratto del nuovo Pontefice, a scegliere una personalità dai tratti nuovi e originali, in grado di essere in comunione con lo spirito di questo tempo di crisi e di travaglio.
È uno sforzo che si deve e si può fare. E l’elezione di Laura Boldrini presidente alla Camera e di Piero Grasso al Senato, sono un primo indicativo segnale di cambiamento, rispetto ad altri nomi di personaggi usurati, circolati in precedenza, per cui se son rose fioriranno.

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