Repubblica Democratica del Congo, storie di guerra e persecuzione troppo spesso taciute

7 Gennaio 2013 /

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Foto di Cifordi Sandro Nanetti
Il testo che segue è il resoconto della conversazione con una persona che è arrivata a Roma dalla Repubblica Democratica del Congo tre anni fa e non può più rientrarvi. Conta di ultimare l’università in Italia e di poter ritornare un giorno a Kinshasa per aiutare la sua gente. Non daremo altri particolari su di lui poiché anche pochi giorni fa suoi familiari, tuttora in patria, sono stati oggetto di gravi ritorsioni fisiche.
Voi europei quando vi riferite alla situazione del conflitto che esiste nel mio paese spesso fate ricorso a definizioni come guerre etniche o guerre tribali. In Congo ci sono più di 250 etnie e più di 400 tribù. Eppure, se esaminate una cartografia delle zone in cui si combatte, noterete che sono tutte a ridosso della parte del paese ricca di minerali.
Parliamo di uranio, di petrolio, di cobalto, di oro, di diamanti e, non ultimo, di coltan, la polvere nera indispensabile per il funzionamento di cellulari e di altri gadget tecnologici di cui il Congo è il più importante produttore mondiale. Sono risorse enormi che se utilizzate dal Congo a beneficio della sua popolazione potrebbero – diceva il Presidente Laurent-Desiré Kabila che si pensa sia stato ucciso per decisione di un potente paese estero – modificare radicalmente la condizione di vita nel giro di due anni.

Eppure da decenni il Congo è stato reso una “terra di nessuno” e ha consentito alle grandi multinazionali, soprattutto Americane e Asiatiche,e ad alcuni politici corrotti di conseguire enormi guadagni facendo precipitare nella miseria e nel terrore la maggior parte della popolazione. Sono usciti libri come “Noir Canada – Pillage, corruption et criminalité en Afrique” che denunciano le connessioni di questo paese con la “Mafiafrique”.
In America e in Europa si cerca di introdurre norme di legge che impongano alle imprese di limitare o quanto meno di dichiarare l’utilizzo di minerali provenienti dal Congo. Le potenti lobby si oppongono a queste limitazioni e, comunque, le aggirano rivolgendosi ad altri paesi, magari quelli confinanti che fomentano le rivolte per depredare i preziosi materiali. Ché proprio di questo si tratta.
Al corrotto governo centrale eletto con (discutibili) modalità democratiche si oppongono focolai di rivolta che erroneamente vengono definiti a sfondo etnico. Le truppe ribelli, come documentato anche recentemente dalla Unione Europea, sono formate da militari provenienti da Uganda e Ruanda, che passano la frontiera e combattono in parti confinanti del Congo di cui condividono la lingua. Ma loro appartengono ad altri stati e obbediscono agli ordini dei comandanti degli eserciti dei loro Paesi.
Per fare un esempio, se bande armate del Canton Ticino penetrassero in Lombardia e combattessero il vostro governo non si tratterebbe di una rivolta di italiani. Quelli resterebbero comunque degli svizzeri anche se parlano la vostra lingua. E così Ugandesi, ruandesi, angolani entrano nel mio paese e coinvolgono anche con la forza congolesi per dare battaglia alle milizie governative.
Persone disponibili per queste avventure si trovano facilmente. Quando non si ha da mangiare e si prospetta la possibilità di sopravvivere unendosi a gruppi militari sovvenzionati è difficile opporre un rifiuto. Anche perché le conseguenze possono essere mortali. E così l’instabilità regna sovrana, con una situazione paradossale: spesso è il governo stesso ad alimentare la nascita di questi gruppi e a dosarne la minore o maggiore efficienza in funzione del livello degli armamenti che lui stesso via via gli assicura.
Chi si impadronisce di una parte di territorio può disporre dei minerali estratti e rivenderli con enormi guadagni. D’altro canto l’instabilità è per il governo un ottimo motivo per non operare a favore dei civili e tutelare gli affari della casta dei politici. Un parlamentare del Congo guadagna uno stipendio mensile equivalente a circa 12.000 euro. Un insegnante riceve mensilmente una somma intorno ai 50 euro. I militari governativi dovrebbero essere pagati ma non lo sono. E così, anziché costituire una protezione per la popolazione, utilizzano la loro posizione per taglieggiare i civili.
Le persone normali, oltre a vivere nell’indigenza, sono in balia sia dei governativi sia dei cosiddetti ribelli. Anche di alcune formazioni estere che ufficialmente dovrebbero assistere la popolazione bisogna diffidare. So di casi in cui sono stati preventivamente approntati dei campi attrezzati per ospitare profughi a pochi chilometri di distanza dal villaggio che si sapeva sarebbe stato distrutto da bande armate. Questi campi sono stati dimensionati per accogliere il numero di uomini, donne e bambini che si stimava sarebbero rimasti vivi dopo l’assalto.
I sopravvissuti poi non avrebbero mai più potuto tornare alle loro abitazioni, per altro in gran parte incendiate, per lasciar campo libero a chi voleva estrarre i minerali presenti nel luogo. Purtroppo non esiste da parte dei civili una capacità di reagire a questa situazione drammatica. Non esiste abitudine a pensare se stessi come persone titolari di diritti elementari. Per far crescere tra la gente una forma di coscienza di sé e della propria dignità umana sta operando, tra mille difficoltà, la Conferenza Episcopale Congolese che è una delle poche voci di verità sulla situazione del Paese.
Per questo le autorità la osteggiano e favoriscono la nascita di improvvisate chiese protestanti i cui capi si definiscono “bishop” e che spesso la stampa estera confonde erroneamente con i vescovi cattolici. Queste religioni tendono a giustificare lo status quo e a predicare la sottomissione e la passiva attesa di aiuti da parte delle nazioni estere più progredite.
Io credo che dalla comunità internazionale forse potrà col tempo venire un aiuto per migliorare le condizioni della società congolese. Ma fino a quando non vi sarà una presa di coscienza da parte del popolo della intollerabilità della situazione di oggi e tutti non si muoveranno insieme per prendere in mano il loro destino ben difficilmente le cose potranno cambiare davvero. Intanto, quando guardo il mio cellulare che pure mi è indispensabile per comunicare con i miei familiari e con i miei amici che sono ancora laggiù, non posso evitare di pensare che questo oggetto è costruito con il sangue dei miei fratelli.

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