di Leonardo Tancredi
Il terronico richiamo della foresta del posto fisso mi ha portato alle 17.30 all’istituto Ettore Majorana di San Lazzaro, anch’io tra i 320 mila e rotti del concorsone della scuola. Mi dicono che bisogna essere là un’ora prima per il check in, allora alle 4 mi metto in macchina con tanto di play list apposita nell’autoradio per affrontare il viaggio in scioltezza. Incolonnato sui viali, incolonnato nella strettoia di via Mazzini, incolonnato nelle corsie immaginarie del civis che non c’è, arrivo nel nulla della periferia di San Lazzaro. Grandi viali, biblioteche avveniristiche e tanti parcheggi desolati. Quello della scuola è deserto, penso di aver sbagliato giorno.
C’è solo una macchina dei carabinieri parcheggiata, come se ci fossero le elezioni. All’ingresso due donne sorridenti mi accolgono a una reception improvvisata con un banco di scuola. Hanno un foglio e una penna, il mio nome è nella lista, mi dicono di aspettare nello stanzino. Mi sembra la visita militare. Nello stanzino mi aspettano sei colleghi, cinque donne e un uomo. Saluto, mi siedo e comincio a sfogliare il manifesto, quotidiano comunista residuale. Leggo un articolo sul concorsone scritto da un giornalista in prima persona che racconta la sua esperienza: oggi ogni testata aveva un giornalista iscritto al concorsone che ha raccontato la sua esperienza in prima persona.
Mi basta un’occhiata a una delle donne che sta “ripassando” per capire di essere ripiombato nella classica situazione da esame. È andata sempre così nel mio decennio (sì, decennio) all’università: ma come fai a essere così rilassato? Quanto ti invidio! Lo stordimento da notte insonne diventava resa incondizionata, fate di me quello che volete, sono un uomo finito. Questo veniva letto dalla studentessa apprensiva di turno come calma serafica, quando ero annientato dalla stanchezza. Entra un uomo nello stanzino e ci dice che se vogliamo possiamo già andare di là, alzo gli occhi dal quotidiano comunista residuale e chiedo cosa succede se andiamo di là. Questa domanda suscita l’ilarità dei miei colleghi.
A un altro banco di scuola, più simile a una dogana pre-Muro di Berlino, consegniamo documenti, cellulari, accendini, cinture e lacci delle scarpe. Ognuno di noi ha un numero e il monitor di un computer acceso davanti a sé. Uno dei colleghi nota che i computer sono nuovi di pacca, si diffonde subito un borbottio grillino sulla spesa dello stato per questo test. Prima che parta una petizione sul blog computernuovidipaccaeunoscandalo.it, ci informano che gli strumenti informatici sono nuovi, ma sono della scuola, per i fortunati studenti dell’Ettore Majorana.
Chiacchieriamo, addirittura anch’io. Una collega carina chiacchiera moltissimo per ingannare l’ansia. È il momento del colpo di scena. Chi ti entra nella stanza? Il compagno E., da non crederci, e il caso vuole che sia stato assegnato alla postazione accanto alla mia. Siamo felici, io e il compagno E. di vivere insieme questa esperienza. Uno strano destino mi unisce al compagno E., non possiamo dirci grandi amici, conoscenti piuttosto, alcune amicizie importanti in comune, tipo il compagno N. e soprattutto il compagno M. M. ma ci siamo ritrovati a compiere simultaneamente passaggi epocali. Per esempio eravamo nella stessa agenzia immobiliare per andare a convivere con le rispettive compagne per la prima volta nella nostra vita. E oggi insieme al concorsone.
Mentre il compagno E. mi racconta di rocambolesche avventure all’Ikea per difendere i diritti dei facchini migranti, un altro colpo di scena. Chi ti entra nella stanza? A. è una ragazza che frequentavo circa 20 anni fa e che non vedevo da almeno 15. Comincia una conversazione da un capo all’altro della stanza. I 25 concorsisti in pochi minuti sono perfettamente aggiornati sulla mia vita privata.
Ci siamo, un rappresentante delle istituzioni ci spiega come si svolgerà il test rivolgendosi a noi sempre al femminile, io e il compagno E. lo prendiamo come un apprezzabile superamento del predominio linguistico maschile. Insiste molto sulla scelta della lingua, state attente se sgarrate lingua poi non si torna indietro. Pronti via, mi scusi ho sbagliato lingua! La collega carina si è fatta tradire dall’ansia, interviene un tecnico (sembra uno della digos secondo me e il compagno E.) e sistema tutto.
Per 50 minuti siamo immersi in un turbine demenziale di serie numeriche, frasi insensate e disegni astratti. Finalmente, la fine. Il tecnico passa accanto a ognuno di noi e con la sola imposizione delle mani sul monitor sancisce i verdetti. Della fila davanti ne passano tre. Eccolo arrivare da noi. Il parcheggio non esiste più, un muro di nebbia inghiotte il compagno E., la vecchia frequentazione A., la collega carina e tutti gli altri. Riaccendo il telefono e trovo un messaggio di R.K.A. che mi comunica la mia sconfitta all’ultimo turno di fantacalcio. Mi abbandono anch’io nella nebbia e penso ma che cazzo ho fatto?