di Tommaso Fabbri
Una leggenda metropolitana degna di personaggi neocon statunitensi come Michael Ledeen (il supervisore, fra l’altro, del famoso depistaggio del gennaio 1981 sulla strage di Bologna), a volte ripresa anche da qualche giornalista proveniente dalla sinistra degli anni ’70, racconta che, in grande segreto e per molti anni, l’Italia avrebbe permesso ai palestinesi di trasportare liberamente armi nel territorio italiano in cambio della cessazione degli attentati sanguinari all’interno dei propri confini:
Dal punto di vista dell’effettiva segretezza, il lodo Moro rappresenta un caso per alcuni aspetti unico e paradossale. Tutti sanno della sua esistenza almeno a partire dal 1978 ma tutti fingono di ignorarla per i successivi quarant’anni. Le allusioni all’esistenza di un qualche patto segreto tra Italia e Olp si moltiplicano nel corso dei decenni. Tuttavia l’esistenza del lodo resta formalmente segreta fino al 2008, quando l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga ne parla per la prima volta ufficialmente.
(pagina 122, “Trame. Segreti di Stato e diplomazia occulta della nostra storia repubblicana” di Andrea Colombo, Cairo Publishing, 2012).
Il “lodo Moro”, in realtà, di cui il presidente della Dc Aldo Moro parla nel 1978 ai brigatisti rossi e in alcune sue lettere per evidenziare la necessità di una soluzione del conflitto autoctono (scambio dei prigionieri fra Stato e Br), circostanza squisitamente politica dimenticata o poco sottolineata perfino nel minuzioso studio di Miguel Gotor, non riguarda solo il problema del trasporto di armi nel territorio italiano e i rapporti con i palestinesi; inoltre non è nemmeno in antitesi rispetto al democristiano “lodo De Gasperi” che dal dopoguerra favorisce il Mossad, il famoso servizio segreto israeliano (vedasi “Mossad base Italia” di Eric Salerno, Il Saggiatore, 2010).
Si tratta invece di un accordo riguardante gli apparati diplomatici e i servizi segreti di tre soggetti politici e non certo solo di due. La storia concreta, la logica della politica internazionale e le dichiarazioni dei protagonisti ce lo fanno capire senza ombra di dubbio. È davvero banale dirlo ma finora, almeno dal crollo del “blocco dell’est” in poi, nessuno studioso ne ha fatto il benché minimo cenno in termini chiari ed espliciti. Il vero dramma è che pochi leggono, pochissimi sanno leggere libri e giornali e quasi nessuno studioso è capace di fare della buona ed onnilaterale ricerca storica.
Il “lodo Moro”, al di là delle analisi unilaterali e imprecise diffuse soprattutto sul web, è una tregua che, dopo la strage di Fiumicino del dicembre 1973 e almeno fino ai primi giorni dell’ottobre del 1981, l’Italia ottiene sia dall’OLP che dal Mossad. Quel che accade dopo ce ne offre una conferma implicita.
A Roma, il 9 ottobre 1981, una bomba a tempo piazzata in una camera dell’albergo Flora uccide Majd Abu Sharar, il responsabile del «dipartimento informazione dell’OLP. I servizi segreti italiani sapevano del suo arrivo e del suo passaporto algerino con false generalità.
A quel punto l’indignazione palestinese non si fa attendere. Dal Libano, per bocca di Abu Iyad (nome di battaglia di Salah Mesbah Khalaf), l’OLP minaccia il governo italiano: “se non si trovano i responsabili Roma diventerà terreno di caccia all’uomo” (“Dal Libano l’OLP minaccia l’Italia” di Mimmo Candito, L’Unità, 10 ottobre 1981; in questo articolo Abu Iyad viene chiamato Abu Ayad). Quelle parole, come acutamente sottolinea il giornalista dell’articolo sopra citato, non sono certo una dichiarazione di guerra all’Italia ma presentano “una durezza di tono da considerare con molta attenzione” (ibidem).
Dopo parecchi anni, e per la prima volta in maniera effettiva, i rapporti fra l’Italia e l’Olp sembrano destinati ad un irreversibile deterioramento perché la situazione è più grave di quanto si possa pensare. La Farnesina emette allora una nota di condanna verso l’azione omicida e i “metodi di lotta politica fondati sulla violenza, inaccettabili sul territorio italiano quale che ne sia la provenienza” (“Una missione dell’OLP a Roma per far luce sull’assassinio” di Giancarlo Lannutti, L’Unità, 11 ottobre 1981).
Il giorno dopo, anche se la matrice del delitto risulta chiara in modo inequivocabile, una significativa delegazione dell’OLP è a Roma, per eseguire da vicino le indagini italiane sull’assassinio di Sharar e per conoscere meglio le dinamiche e gli eventuali complici del crimine. Secondo il rappresentante dell’OLP in Italia Nemer Hammad:
L’assassinio di Majed Abu Sharar è un’operazione israeliana, e noi ci aspettiamo che le indagini condotte dalle autorità italiane accertino la verità e abbiamo fiducia che vengano chiarite le responsabilità. (…) Gli israeliani – dice ancora Hammad – hanno violato il -tacito accordo. che aveva tenuto il territorio italiano, dopo la strage di Fiumicino del dicembre 1973, fuori della .”guerra dell”ombra”; né l’Italia né l’OLP hanno interesse a che questa violazione abbia conseguenze più gravi.
(“Una missione dell’OLP a Roma per far luce sull’assassinio” di Giancarlo Lannutti, L’Unità, 11 ottobre 1981).
Rispetto alla vicenda dei missili di Ortona sequestrati il 7 novembre 1979 a tre autonomi romani del collettivo di via dei Volsci, all’imprigionamento di questi ultimi e al successivo arresto del militante del FPLP Abu Saleh (rimasto in carcere solo un paio di anni e poi per qualche tempo agli arresti domiciliari), l’omicidio di Sharar è qualcosa di mille volte più grave perché, oltre a colpire in modo sanguinario e definitivo un importante funzionario dell’OLP, mette in discussione alla radice l’accordo politico del ’73 che stipula con le due parti in conflitto, Israele e palestinesi, l’impegno a non trasferire sul territorio italiano le loro azioni di guerra.
L’OLP ha accusato direttamente i servizi segreti israeliani per l’assassinio, lasciando intendere che nessuna resistenza c’è stata da parte italiana per far rispettare il famoso accordo del ’73 sulla “neutralità” del nostro territorio nelle vicende interne tra israeliani e palestinesi”
(“Chiarita definitivamente la tecnica dell’attentato contro Abu Sharar. Biglie d’acciaio nella bomba”, L’Unità, mercoledì 14 ottobre 1981).
Già nel 1981 – senza attendere il 2008 con le imprecise e ambigue dichiarazioni dell’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga a quel tempo gravemente malato di sindrome bipolare affettiva – quel patto è famoso e ufficiale perché, fra gli altri, ne parla esplicitamente anche Hammed, il rappresentante dell’OLP in Italia.
Non solo. Ad esso fanno riferimento le parole di Francesco Mazzola (sottosegretario alla presidenza del Consiglio dal giorno 8 agosto 1979 al 4 aprile 1980 e poi dal 6 maggio 1980 al 18 ottobre.1980) e un articolo del quotidiano la Stampa:
“Le strutture del Sismi, il servizio militare di controspionaggio, sono rimaste per buona parte le stesse che operavano ai tempi del Sifar di De Lorenzo e del Sid di Piazza Fontana. Le operazioni di “pulizia”, come è successo durante la recente vicenda della “P2”, sono state limitate sempre ed esclusivamente ai vertici. “Con il risultato – dice l’ex sottosegretario democristiano Mazzola, responsabile per i servizi di sicurezza nel governo Cossiga – di sconvolgere delicati equilibri. Gli accordi fra servizi vengono presi in genere dai massimi responsabili e si fondano sulla fiducia ed il rispetto reciproci”.
(“Il Sismi non trova bravi 007 e continua ad assumere parenti” di Ruggero Conteduca, La Stampa, 19 novembre 1981).
Per questo motivo, commenta il giornalista, “dopo anni di tregua seguiti alla strage di Fiumicino” (ibidem), l’Italia e Roma in particolare sembrano ridiventare “terreno di scontri fra arabi e israeliani” (ibidem). Ruggero Conteduca si chiede poi in che senso siano cambiati gli equilibri secondo l’affermazione di Francesco Mazzola – si ricordi il suo ruolo nei governi Cossiga I e II – e giunge a questa conclusione : “Con l’arrivo di Lugaresi al posto di Santovito (incappato nelle liste di Gelli) il Sismi ha fatto un passo indietro privilegiando la linea filo-israeliana, come era sempre avvenuto prima di Miceli” (ibidem).
In Italia la tregua fra israeliani e palestinesi, sia pur indebolita dalla nomina di Lugaresi a direttore del Sismi e dalla sclerotica inefficienza nepotistica esistente nei servizi segreti italiani, viene ripresa anche in seguito all’omicidio di Majd Abu Sharar. Si spezza però in maniera definitiva il 17 giugno 1982, quando a Roma vengono uccisi due palestinesi (Nazyh Mattar, un aderente all’OLP senza alcun incarico particolare, e Yussef Kamal Hussein, vicedirettore dell’ufficio dell’OLP in Italia) e a Beiut le truppe israeliane hanno già circondato la città.
Un paio di mesi dopo i principali dirigenti palestinesi dell’OLP (Arafat e Abu Iyad ad esempio), che vivono in modo diretto e quotidiano le alterne vicende della guerra civile libanese sviluppatasi come conseguenza dei bombardamenti israeliani del 10 luglio 1981, si rifugiano a Tunisi.
In sintesi, alcune cose emergono con un sufficiente grado di certezza: il patto del 1973 durò molti anni e, soprattutto dal punto di vista palestinese, la vera inosservanza suscettibile di spazzarlo via una volta per tutte ci fu il 9 ottobre 1981 con l’omicidio di Majd Abu Sharar. Last but not least, la minaccia all’Italia lanciata da Abu Iyad lo stesso giorno di quel crimine era una conferma di quanto sanno tutti gli esperti della storia dell’OLP. Nella seconda metà del 1981 Abu Iyad restò sempre in Libano, per lo più in una specie bunker sotterraneo che costituiva la sede dell’OLP a Beirut.
Come se non bastasse, il 7 marzo del 1981 sul quotidiano La Stampa si fece riferimento ad un rapporto del Sismi che lo indicava come “collegamento fra le Brigate Rosse e lo Yemen del Sud”, fatto mai provato e perciò significativo del carattere non certo benevolo del Sismi verso il braccio destro di Arafat (“Roma: scoperti piani dell’ultradestra contro la polizia” di Sandra Bonsanti, La Stampa, 7 marzo 1981).
Tale circostanza, a sua volta, induce ad escludere completamente che Abu Iyad possa essere stato il misterioso personaggio che si cela dietro la “A.” di cui si legge nell'”olografo Senzani” (un criptico manoscritto che fu trovato nel 1982 al militante del Partito Guerriglia Giovanni Senzani). Abu Iyad, ucciso poi a Tunisi nella notte fra il 13 e il 14 gennaio 1991 da nemici dell’OLP, nel 1981 sapeva quel che si diceva su di lui in Italia. E, come ogni dirigente dell’OLP, non era uno sciocco e nemmeno un pazzo avventurista.