Lettera dal Cdr del Manifesto ai Circoli

19 Giugno 2012 /

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“Care compagne e compagni,
vogliamo dialogare con i testi, le e-mail che sono arrivate al giornale e all’interno delle quali è denunciato il silenzio della redazione rispetto la richiesta, maturata nella riunione nazionale dei circoli del manifesto tenuta ai primi di giugno a Bologna, di un incontro tra collettivo, circoli e lettori dove condividere, presentare e discutere pubblicamente le proposte per fare uscire il manifesto dalla crisi.” La lettera del Comitato di redazione de il manifesto

Una prima precisazione: questo è il frutto di una discussione dentro il comitato di redazione, da mesi impegnato nella definizione di una proposta politicamente sostenibile di riduzione del costo del lavoro. Un contributo parziale, dunque, anche se mai come cdr abbiamo pensato di limitare la nostra azione in una prospettiva sindacale-economica.

Sgomberiamo subito il campo da possibili equivoci.

Il manifesto che esce ogni giorno è un giornale che ha evidenti limiti. Discontinuo nel seguire alcune questioni importanti, a volte ondivago e “debole” nell’esprimere un punto di vista sulla realtà che rappresenta nelle sue pagine. Che ci sia bisogno di una discussione sulla sua dimensione politico-editoriale è indubbio. La chiarezza sull’aspetto politico-editoriale è per noi essenziale per immaginare un rilancio del manifesto. Ed è una discussione che non è certo limitata alla foliazione – quante pagine a questa sezione, quanto spazio a quel tema – ma dovrebbe investire le sue  priorità, la sua collocazione, la sua fisionomia.  Né è sufficiente per sciogliere il nodo politico-editoriale affermare che dovrebbe essere un giornale che lavora all’unità della sinistra, termine ormai vago che può indicare tutto e il suo contrario. Quello che serve è una discussione approfondita su come è cambiato il capitalismo, come sono state trasformate le società, i rapporti sociali e le forme dell’agire politico; e dunque tendere a stabilire dove il manifesto deve collocarsi senza rinunciare ad essere un luogo aperto, che, forte della discussione interna, riesce a misurarsi con una realtà che ha reso inutilizzabili alcune griglie analitiche del passato, come quella che vedeva il manifesto interfaccia tra i movimenti e la sinistra politica data. In primo luogo, la sinistra politica è ormai un oggetto nel migliore dei casi misteriosio, il più delle volte volte alieno rispetto a quanto accade, se non ostile, per puro riflesso conservativo dei propri apparati, anche a una gestione riformista dell’esistente: i partiti che ne fanno parte sono cioè forme politiche inadeguate rispetto a quello che servirebbe per abolire lo stato di cose presenti. E altrettanto difficile è paragonare gli attuali movimenti sociali rispetto al Sessantotto. Con coraggio, bisognerebbe affrontare, oltre la crisi della forma-partito, anche la crisi della forma-movimento e fare i conti con una proliferazione di inziative, movimenti locali fortemente legati a tematiche specifiche, territoriali, ma che non riescono a cambiare la realtà. Di esempi ce ne sono tanti. Potremmo elencarli, ma darebbe luogo a una lista che esprime la difficoltà di esprimere un punto di vista politicamente significativo sulla realtà presente. Dalla uscita del giornale-manifesto sono passati 41 anni e molte cose sono cambiate. Per non dissipare una storia politica-editoriale unica nel panorama italiano, occorre dunque misurarsi non con le occasioni perdute, ma con un opaco e niente affatto condivisibile presente.

Un passo indietro, per ricordare un aspetto che rischia di essere smarrito in questo caotico periodo. Il manifesto continua ad uscire; ognuno che ci lavora, indipendentemente dal ruolo che svolge, dà il meglio di se stesso, anche se il risultato è insufficiente. L’andamento oscillatorio delle vendite lo testimonia. Aumentano in alcuni periodi, quando l’allarme per il rischio di chiusura raggiunge il diapason o quando c’è un fatto, un evento straordinario . Diminuiscono quando l’allarme sembra rientrare; o quando la routine prende il sopravvento. Allo stesso tempo, cresce l’attenzione in Rete verso il manifesto: un dato che andrebbe analizzato a fondo. Non crediamo che il mercato sia la bussola che debba orientare le scelte che faremo, ma sarebbe un suicidio non affrontare, cioè analizzare, i motivi della diminuzione della copie. In ogni caso, lavorare in un regime di commissariamento è difficile, perché ci sono limiti economici, finanziari, organizzativi che vanno rispettati. Una cosa che abbiamo appreso e che pratichiamo è la difficile arte su come convivere con quei limiti. Ma questo non risponde né affronta i problemi che voi ponete da tempo. Una cosa è però certa: la discussione politico-editoriale dovrà essere larga e dovrà vedere la partecipazione del collettivo, dei suoi collaboratori e dei lettori e sostenitori. Le forme di incontro, di discussione devono essere ancora immaginate.

Nell’assemblea dei circoli ricordata avete chiesto al collettivo del giornale di presentare i loro progetti, mettendo in conto la possibilità che possano essere più di uno. Richiesta di buon senso, anche se da questo particolare osservatorio che è il comitato di redazione, c’è da constatare che finora la discussione non vede maggioranze e minoranze, ma espressione di sensibilità molto differenti tra loro, che ancora non ha dato vita a proposte diverse. Non va neppure  negato che la liquidazione coatta amminsitrativa accentua  una situazione  di affaticamento, logoramento interno già evidente  nel biennio 2007-2008, quando il giornale decise di presentare un piano di crisi al ministero del lavoro, che è stato poi effettivamente approvato nel 2009. Da allora molti compagni sono andati via. Altri,  hanno scelto, come atto di sostegno al giornale, di andare in prepensionamento. Quella che doveva essere un’occasione di riorganizzare il lavoro, la struttura proprietaria del giornale, la struttura dei conti economici (e conseguente necessità di dotarci di una  dimensione manageriale) si è invece trasformata in un tunnel che ha visto il punto più drammatico  nella decisione di andare in liquidazione coatta amministrativa.

Il manifesto può però essere salvato, facendo scelte dolorose, ma che ne rispecchino la sua storia e la sua natura di giornale politico. Dunque: riduzione del personale, ma nessun licenziamento collettivo è stato accettato. Da qui la proposta di usare tutti gli ammortizzatori sociali previsti dalla legge per ridurre il costo del lavoro ma in una prospettiva inclusiva. Detto più semplicemente: nessuno deve essere messo alla porta e a tutti deve essere data la possibilità di rimanere legati al giornale. La richiesta di cassa integrazione a rotazione ha questo punto forte. Per questo abbiamo incontrato funzionari ministeriali, esponenti politici, sindacalisti per costruire il necessario consenso a questa ipotesi che i commissari liquidatori rifiutavano e alla quale opponevano una richiesta opposta: dovete mandare via 40 persone, scegliendo voi chi deve rimanere e chi deve andare via. Richiesta inaccettabile e respinta sempre al mittente. Perché, lo ripetiamo, siamo convinti che il manifesto si salva se viene data la possibilità a chi ci lavora di salvare il proprio posto di lavoro. Questo non significa che vogliamo mantenere tutto come era prima della liquidazione coatta amministrativa. Dagli inizi del 2000 ad oggi oltre 30 persone hanno lasciato il giornale. Alcuni sono rimasti a scrivere, contribuendo alla “fattura” del giornale – i compagni e le compagne che hanno scelto il prepensionamento – altri sono andati a lavorare in altri quotidiani. E sappiamo anche che tra chi è rimasto sono maturate distanze evidenti. Con loro dobbiamo parlare e trovare il modo che possano andarsene senza la violazione o la perdita dei loro diritti acquisiti in quanto lavoratori.

Sono questi i nodi che vanno sciolti nella trattativa sindacale che finalmente si è aperta al ministero del lavoro la scorsa settimana e che è stata aggiornata per il 25 giugno. Trattativa che con realismo possiamo definire difficile, ma non impossibile, visto che tanto il ministero dello sviluppo economico che del lavoro hanno ribadito che faranno di tutto affinché il giornale continui la sua attività nel rispetto delle leggi e del regime di liquidazione coatta amministrativa.

E qui veniamo al punto della struttura proprietaria del giornale e del rapporto tra il collettivo, i collaboratori, i circoli e i lettori.

Nelle settimane scorse, Guido Ambrosino ha inviato un materiale sulla struttura proprietaria della Taz. Potrebbe essere un modello su cui lavorare, anche se con realismo diciamo subito che è impossibile pensare a una automatica e lineare traduzione italiana di quel modello. Le leggi del nostro paese rendono le cose meno semplici di quanto si pensi, anche alla luce delle proposte di riforma del regolamento per l’accesso ai fondi per l’editoria in discussione in questi mesi. Da questo punto di vista, vanno ancora discusse le forme affinché si giunga a quell’editore collettivo che è anche il nostro orizzonte. Editore collettivo che era già presente nella Cooperativa manifesto anni 80, ma che non ha funzionato. Occorre dunque  un grande lavoro di immaginazione affinché sia garantita una forma proprietaria che riconosca l’autonomia della redazione e al tempo stesso la partecipazione dei circoli e dei lettori alle scelte che il manifesto compirà. In un intervento del circolo sardo del manifesto, viene affermato che la proprietà del manifesto va al di là della cooperativa che ha finora prodotto il giornale. Vero, ma altrettanto vero è che un futuro assetto proprietario che non veda come pratogonista il collettivo del giornale non solo è poco realistico, ma impraticabile, alla luce anche del fatto che l’attuale cooperativa sarà sciolta e dovrà essere costituita un’altra con un numero di soci che non coinciderà con quello attuale.

In molti incontri informali, discussioni con i lettori o compagni e compagne impegnati nei circoli emerge la denuncia di una autoreferenzialità della redazione. Non è l’espressione più adatta. Da una parte c’è la rivendicazione di una autonomia della redazione, associata a una difficoltà nell’organizzare una discussione che guardi al futuro senza rimanere intrappolati nella tela delle necessità quotidiane, nelle emergenze create da una situazione di precarietà massima. Ma questa è solo una parte delle spiegazione. La crisi del manifesto ha origini lontane nel tempo. Eterogeneità generazionali, politiche, culturali che diventano un limite invece che una ricchezza. In sintesi, quello che è difficile è il governo delle diversità, della loro valorizzazione. Il manifesto sarà anche un bene comune, ma non sempre riusciamo a gestirlo come tale. La scommessa politica è proprio il governo delle diversità. Un giornale monocorde, chiuso in una logica identitaria è l’ultima cosa che si può chiedere al manifesto.

Comitato di redazione del manifesto

 

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