Dalla Grecia alla Grecia. Rifondare il mito dell'Europa

25 Maggio 2012 /

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“Il destino della Grecia segnerà la sorte dell’Unione Europea.
Al di la, infatti, delle questioni legate alla gestione della crisi debitoria, anzi all’interno di essa, si agita il contrasto tra due visioni radicalmente diverse dello spazio comunitario, che si nutrono di simboli opposti e disegnano scenari affatto differenti per lo spazio pubblico e politico europeo. Nella lettura della crisi greca si gioca una partita simbolica importante, la cui valenza deve essere assunta, specialmente a sinistra, se si vuole dare a questa fase una prospettiva positiva, di ritorno a quei valori fondativi che tante speranze avevano suscitato dopo Seconda Guerra mondiale”.
Riflessione di Raffaele K. Salinari
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Il destino della Grecia segnerà la sorte dell’Unione Europea.
Al di la, infatti, delle questioni legate alla gestione della crisi debitoria, anzi all’interno di essa, si agita il contrasto tra due visioni radicalmente diverse dello spazio comunitario, che si nutrono di simboli opposti e disegnano scenari affatto differenti per lo spazio pubblico e politico europeo. Nella lettura della crisi greca si gioca una partita simbolica importante, la cui valenza deve essere assunta, specialmente a sinistra, se si vuole dare a questa fase una prospettiva positiva, di ritorno a quei valori fondativi che tante speranze avevano suscitato dopo Seconda Guerra mondiale. Mi riferisco all’evidenza che l’attuale gestione comunitaria della crisi greca, sia quella in carica alla Banca Centrale, ed ancor più le decisioni dei singoli Stati membri, Germania in testa, sta portando a compimento il tradimento del mito fondatore dell’Europa comunitaria.
La forza che muove questo ritorno all’indietro è certamente il capitalismo finanziario che ha sempre contrastato le politiche di integrazione continentale basate sull’unificazione dei sistemi di welfare, di controllo centrale della fiscalità, di uno spazio comune dell’istruzione, delle regole di circolazione dei capitali di tassazione delle transazioni finanziarie, di una politica estera comun e di pace, ma soprattutto dell’integrazione culturale, di quel metissage che in prospettiva rappresenta la vera forza di un continente plurale come l’Europa. Non dimentichiamoci, infatti, che l’intenzione dei suoi padri nobili, Spinelli, Schuman, era quella di costruire una Istituzione radicalmente nuova, che intendeva ripensare il mitologema stesso sul quale si concepiva l’unità del continente sino ad allora.

Il mito di Europa, infatti, figlia di Agenore, forse re di Tzur, antica città sarda, o di Tharros, nel Mediterraneo occidentale, è intriso di violenza. Come narra Ovidio, Zeus se ne invaghì e si mostrò a lei sotto le sembianze di un toro. Europa gli salì sul dorso, e questi la portò attraverso il mare fino all’isola di Creta. Qui giunti Zeus rivelò la sua vera identità e tentò di violentare la ragazza che, malgrado fosse al cospetto del re degli dei, rifiutò le sue proposte. Europa dunque si difese, e Zeus fu costretto a trasformarsi in aquila per così, sotto le spoglie di uno spietato predatore armato di artigli, riuscire a possederla. Chi ha avuto sotto mano le monete da due Euro di conio greco, ha trovato raffigurato proprio questo mito. La vicenda di Europa si snoda in seguito tra l’isola di Creta, della quale diventa regina, ed il destino dei suoi vari figli. Tra questi Minosse, che avrà come sposa Pasifae, la quale «si imbestiò nelle imbestiate schegge», come disse Dante, partorendo il Minotauro, anch’esso meta uomo e metà toro, ucciso poi dall’eroe solare Teseo con l’aiuto di Arianna. Dato che Minosse era figlio di Zeus, la pazzia di sua moglie Pasifae, che si accoppia con un toro inviato da Poseidone per vendetta contro un mancato sacrificio del marito, in qualche modo apre la catena di vendette divine che caratterizzeranno, in una lunga sequela di tragedie, la storia di questo mito fondatore. E proprio in onore di Minosse, il talassocrate figlio della violenza, e di sua madre violentata, i Greci diedero il nome Europa al continente che si trovava a nord di Creta.

Questa breve disanima del mito chiarisce che il nostro continente, le sue radici, come rami nati dal trauma originario della figura che gli ha dato il nome, e dunque che l’ha “oggettivato” per prima, sono piantate in un terreno di violenza sopraffattrice e di inganni, cui seguono tradimenti e vendette. Nel corso della sua storia, fedele al mitologema originario, la «macchina mitologica» dei poteri europei, come l’avrebbe definita Furio Jesi, ha finito per identificare se stessa con l’essenza violentatrice insita nel mito, riproponendo così,  anche nelle forme simboliche che vanno dall’impero romano a quello carolingio, sino ad arrivare al Reich millenario nazista ed alla mistica fascista della Nuova Roma, la sottomissione delle genti del continente alle ragioni della forza. Da sempre, infatti, chi ha voluto unificare l’Europa, lo ha fatto con gli stessi mezzi con i quali era stata trattata colei che le aveva dato il Nome. Ecco dunque, che dopo la seconda guerra mondiale, ma già in gestazione durante la prima ed il ventennio totalitario, si alza sulle macerie del continente la voce di chi propone una immagine diversa, una visione dell’unità continentale fatta dai popoli e per i popoli, democratica, partecipata, uno spazio di pace che, molto simbolicamente, rinasceva mettendo in comune ciò per cui si era combattuto nel recente passato, il carbone e l’acciaio, e l’energia del futuro, un atomo che ancora si voleva come potenza curatrice.
Ma il tentativo di rifondare il mito sul quale costruire un’altra Europa, quella luce quasi mistica che irradiava dalle parole dei padri fondatori, si perde quasi subito negli occhi dei governanti chiamati a gestire il processo, incapaci di portare ad effetto la gigantesca visione che veniva loro proposta. Ed allora, in qualche punto della storia invisibile del nostro continente e del suo facimento unitario, qualcosa si spezza, si perde, oscurando così la stella polare sulla quale orientare la rotta anche nei momenti difficili.

Oggi il futuro dell’Unione Europea si coagula nella crisi della Grecia, il luogo non soltanto materiale ma simbolico dove nasce la democrazia, la polis, la nostra filosofia, la nozione stessa di occidente. La Grecia fuori dall’Europa (e l’euro oggi è l’Europa, purtroppo), per un diktat dettato dalla finanza e dagli interessi di parte, tedeschi o altro, significherebbe dunque che è l’Europa dei popoli ad uscire da se stessa, che abdica alla sua rigenerazione, dichiarandosi subalterna ad altre violenze, immateriali ma non meno devastanti, come quelle della finanza. Il mito rifondatore della Nuova Europa, sarebbe irrimediabilmente schiacciato tra il capitale che pretende la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio come garanzia permanente del suo potere, ed una politica da ragionieri che piega la testa di fronte alla mano invisibile di un mercato ben visibile nei suoi effetti sociali. La sinistra, le sinistre, non possono accettare questa sconfitta, questa alienazione simbolica, la mancanza di un progetto di società comunitaria ben intelligibile dalle genti europee, che pure per lunghi anni hanno creduto di partecipare ad una svolta nella loro Storia. La crisi del progetto comunitario evidenzia dunque il tradimento del mito della Nuova Europa, quella che rigettava la violenza come misura del potere e si offriva al futuro con un volto diverso da quello che aveva offerto ai secoli passati. Ed infine, ma non per importanza: la caduta dell’Euro aprirebbe una guerra tra monete come mai in passato. E allora ricordiamoci di stare dalla parte di chi ha imparato, come diceva Celine, che «le guerre iniziano, ma non finiscono mai».

Raffaele K. Salinari è presidente della federazione internazionale di Terres des Hommes.
Il suo ultimo libro si intitola “SMS – Simboli, Misteri, Sogni”, ed. Punto Rosso

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