Cie: Lo sportello legale e un osservatorio diritti bastano? Chiuderli è la risposta

25 Maggio 2012 /

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Ripristino dello sportello legale interno e l’idea di un osservatorio per i diritti gestito a titolo volontario dalle associazioni del territorio. Queste le proposte, emerse nella commissione consiliare conoscitiva sui Cie al comune di Bologna,  per garantire, oggi, un esercizio minimo di tutela dei diritti nei Cie. Idee, di cui da tempo si parla, che in passato hanno visto concretizzarsi dei percorsi interni poi cessati, a cui movimenti, rete Primo marzo, Tpo, Arci, sindacati di polizia, appoggiati da Sel, Pd e Cgil aggiungono una richiesta di una chiusura immediata. Timori per la nuova gestione del Consorzio Oasi. L’articolo di Silvia Bonacini

Badanti, richiedenti asilo, vittime di tratta o del lavoro nero, rom a cui non verrà mai concessa una identificazione perché, fuggiti da guerra che ha cancellato l’origine ‘legale’ di un’esistenza inclusa fra precise frontiere, ora giacciono in un vuoto legislativo incolmabile. Come l’ultimo caso denunciato dalla Garante regionale dei detenuti, l’avvocata Desi Bruno «una donna rom di 30 anni, in Italia con 5 figli, oggi trattenuta in attesa di un’identificazione che non avverrà mai perché la donna e’ nata in Bosnia quando ancora c’era la Jugoslavia: il suo nome non e’ registrato da nessuna parte, in quello che per la legge italiana dovrebbe essere il suo Paese, non sanno niente di lei. E così rimarrà 18 mesi nel Cie, poi uscirà e rischierà di ripetere la stessa esperienza. Nel Cie se ne incontrano parecchie di persone così, persone che entrano ed escono: c’e’ un vuoto legislativo» ha spiegato. Ma soprattutto sono detenzioni per illeciti amministrativi: privazioni della libertà personale, derivate da una legge nazionale che costruisce clandestinità inserendosi nel percorso migratorio di chi non ha il pds perché ha perso il lavoro o perché quel lavoro regolare non lo ha mai trovato. In un paese  dove dilaga la crisi economica se sei straniero vieni sfruttato: dagli stati per ridurre i costi e i diritti dei propri cittadini; da un caporale o al nero da chi non intende inquadrarti perché costeresti troppo; da chi che ti usa violenza, ti butta in strada, ti pensa merce. E poi ci sono le vittime della presunta disorganizzazione ministeriale, del mutismo di consolati e ambasciate che non rispondono sulle identità da accertare. Privazione di vite e attesa. Incertezze dei tempi di reclusione che provocano esasperazione, abuso di farmaci e psicofarmaci, suicidi, rivolte, autolesionismo. Per cosa? Per stare in una struttura gravemente carente dal punto di vista del rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali firmate dall’Italia. Una struttura costosa: oltre 204 milioni di euro è la stima dichiata per difetto dal tavolo sui costi dei centri d’identificazione ed espulsione all’atto del convegno Bolognese “Quali alternative ai Cie? Prospettive e proposte” inserito nell’ambito di Transeuropa Festival. Una macchina inefficace dal punto di vista sicuritario, che a Bologna ha effettuato solo la metà dei rimpatri previsti lo scorso anno: su 665 trattenuti ne sono stati espulsi 334. Gli altri hanno richiesto protezione umanitaria (30 su 192 richieste), permesso per protezione sociale (107) fra cui donne vittime di tratta (12) che hanno ottenuto il pds entrando in percorsi d’accoglienza protetta ai sensi dell’art 18 del Testo unico per l’immigrazione volto a proteggere le vittime dello sfruttamento. Così, a questi si aggiungono anche gli ex detenuti che vedono prolungarsi la pena di altri 18 mesi perché quell’identificazione da scrivere sul foglio di rimpatrio non arriva.

«La promiscuità è uno dei principali problemi: dopo il prolungamento a 18 mesi il clima è peggiorato, a questo cambiamento il Cie non è pronto sia dal punto di vista delle attività interne sia da quello strutturale – spiega la direttrice Lombardo-  Il Cie è un collettore di disagio psichico e sociale – ammette- oltre alla clandestinità amministrative vi sono persone poco integrabili senza fissa dimora, con disturbi psichiatrici, ex minori non accompagnati che non hanno fatto richiesta per il permesso di soggiorno o che l’hanno perso commettendo piccoli reati, a cui si aggiungono gli ex detenuti che fomentano tensioni e rivolte coinvolgendo i più deboli, minacciando operatori e forze dell’ordine». E proprio mercoledì 23 maggio, mentre si discuteva l’udienza conoscitiva sui Cie in commissione consiliare, Silp, Siulp, Sap, Consap, Ugl Polizia di Stato, Coisp, Uilps Sindacato Polizia modenesi hanno inviato una nota in cui se ne chiede in maniera netta la chiusura. Stessa richiesta da parte di Pd, Sel, Cgil, movimenti, Tpo e rete Primo marzo. «Occorre aprire – suggeriscono – un nuovo spazio di discussione e proposta, anche normativa, per il recepimento delle norme europee più avanzate a tutela dei diritti e per una complessiva revisione della legislazione sull’immigrazione. L’esperimento Cie è da considerarsi concluso sotto ogni punto di vista: sociale, politico, giudiziario». Cécile Kyenge, portavoce nazionale della rete Primo marzo, intervenendo in commissione ha rilanciato una posizione oramai largamente condivisa «Si parla di sportelli legali e osservatori, ma è ora di chiudere questi centri in Italia e anche all’estero perché il rischio sta nella delocalizzazione della detenzione in Libia, Tunisia o Egitto. L’Italia deve rivedere il proprio razzismo istituzionale rispettando gli accordi internazionali sui diritti umani, ampliando quelli esistenti anche per le vittime dello sfruttamento lavorativo ed applicando nuove politiche di accoglienza e circolazione in Europa – ha detto – Parlando di promiscuità stiamo ammettendo ciò che noi denunciamo da tempo: i Cie sono carceri in cui non vige nemmeno la tutela dei diritti data negli istituti carcerari. Per noi l’unica risposta è la chiusura». Ma sui Cie regionali incombe un cambio di gestione denunciato sia dall’attuale direttrice Lombardo, che non vede come con 28 euro si possano garantire l’attuale rete di servizi e l’inquadramento del personale che al momento non si sa se verrà ricollocato sotto il Consorzio Oasi di Siracusa, sia dal Pd. Lo stesso Carlo Giovanardi si è fatto portavoce di un’interrogazione al Ministero dell’Interno al proposito che chiede di fare chiarezza sulla costituzione del Consorzio poiché uno dei tre soci era già fra quelli di Alma Mater: una cooperativa che gestiva il centro di Cassibile, su cui il pm di Siracusa aveva anche chiesto il giudizio per truffa ai danni dello Stato respinto poi dal Gup. A tal proposito Sergio Lo Giudice (Pd) chiede che la Prefettura preveda delle verifiche periodiche per capire se da parte della nuova gestione verranno effettivamente garantiti i servizi attuali «C’è inoltre la necessità di un’intensificazione dei controlli per evitare – afferma- possibili infiltrazioni mafiose che possono inserirsi in questi circuiti».

Silvia Bonacini

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