Una breve analisi mette insieme i dati demografici con quelli su abitazioni, mercato immobiliare e degli affitti e condizioni di reddito delle famiglie. Un quadro che mostra quanto la questione sia complicata e come le fragilità economiche a monte siano difficili da risolvere in un’ottica solo comunale. Ma in cui anche il Comune può fare molto, cambiando logica.
La demografia bolognese degli ultimi dieci anni: una città ad alta mobilità
La popolazione residente, tra il 2015 e il 2019, era aumentata di quasi novemila unità, dai 386.663 iniziali. Poi, con la pandemia da Covid, ne ha perse 7500 in due anni. La media del decennio, comunque, è stata di 390.252 residenti, appena superati di 500 unità nel 2024. I residenti stranieri sono invece passati dai 58.873 del 2015 ai 61.602 (la loro quota è dunque cresciuta di poco, andando dal 15.2% al 15.8%).
Un aspetto interessante della demografia bolognese è la mobilità. Ogni anno, infatti, arrivano in città un bel numero di nuovi residenti e se ne vanno in un numero altrettanto cospicuo. Nel decennio, sono arrivati a Bologna ben 150.458 nuovi abitanti e se ne sono andati 115.672. Se ipotizzassimo che chi se ne va abbia generalmente risieduto a Bologna da almeno dieci anni e che chi arriva vi resti almeno dieci anni, potremmo dire che di quelle 386.181 persone che risiedevano a Bologna il 1° gennaio 2015, dopo dieci anni ne sono rimaste solo 120.051, il 31.1%, ovvero, meno di un terzo. Una città ad alto turn-over, quindi. Un dato confermato anche guardando alla città o area di nascita dei residenti. Dieci anni fa, solo il 34% dei bolognesi era residente in città fin dalla nascita; oggi, sono il 32.5% (127.709). Oggi, solo il 61% dei bolognesi è nato in città o in regione, mentre il 12.2% è nato all’estero e il 20.4% è nato in un comune dell’Italia centrale o meridionale. Inoltre, dei residenti attuali, quasi un quarto è arrivato a Bologna dopo il 2015.
Se il saldo naturale è sempre stato negativo (per un totale di 4734 morti più dei nati), tra nuovi entrati e fuoriusciti è invece rimasto positivo, per un totale cumulato di 34.786 unità, di cui 11.797 da e verso il resto d’Italia e 22.989 da e verso l’estero. Di quei più di 150mila residenti arrivati in città, solo 34.131 sono giunti dall’estero, ma non tutti erano stranieri, tuttavia. Gli italiani arrivati in città sono stati 99.830 (il 66.4%), di cui 4.286 rientrati in Italia dall’estero (appena il 4.3%). Gli stranieri arrivati sono stati invece 50.628 (il 33.6%), di cui 29.845 (il 58.9%) direttamente dall’estero.
Dei più di 115mila residenti che se ne sono andati, 103.435 si sono trasferiti in altri comuni d’Italia e 12.237 si sono diretti all’estero (il 10.6%); 88.173 erano italiani (il 76.2), di cui 9.070 (il 10.3%) si sono diretti all’estero, mentre gli stranieri erano 27.499 (il 23.8%), di cui solo 3.167 (l’11.5%) diretti all’estero.
È quindi evidente che Bologna è una città ad altra mobilità, che interessa per più di due terzi cittadini italiani (quasi centomila in entrata e più di 88mila in uscita) e per meno di un terzo stranieri (più di cinquantamila in entrata e più di 27mila in uscita). Con questi numeri (150mila arrivi a fronte di 115mila dipartiti) e con una popolazione residente media di 390mila persone, è inevitabile che in città la domanda di abitazioni in affitto sia altissima – è ovvio che chi arriva in città, nella maggioranza dei casi, non disponga di un immobile – che viene solo in parte compensata dall’offerta di abitazioni lasciata libera da chi se ne va (che non sempre, però, lascia la propria casa in affitto). In termini numerici crudi, un saldo migratorio totale medio annuo di 3.479 unità implica che ogni anno vi sono potenzialmente quasi tremila e cinquecento persone aggiuntive in cerca di una dimora (se anche sottraiamo a questo numero il saldo naturale medio annuo di 1.758 morti in sovrappiù dei nati, sappiamo anche che non tutti i morti lasciano un’abitazione vuota). Più in generale, con 15mila nuovi entrati in città e 11mila e cinquecento in uscita in media ogni anno, è inevitabile che il mercato della casa a Bologna sia in movimento.
Le famiglie
Guardiamo ad un altro aspetto. I più di 390mila residenti a Bologna compongono 239.641 nuclei familiari (a fine 2024), il che implica che quello è il numero di alloggi che dovrebbe essere quanto meno disponibile. Tra l’altro, ben 115.079 nuclei sono composti da una sola persona, 49.589 da due sole persone, e ben 74.673 da 3 o più membri (per un totale di 173.750 componenti), il che porta a dire che, potenzialmente, gli alloggi necessari sono meno di quei 240mila (ci sono single che fanno nucleo a sé ma che condividono l’abitazione, anche se ci sono ben 79.799 persone che vivono effettivamente da sole).
Un tema ben noto, a tal proposito, è quello degli anziani: ben 43.147 nuclei familiari, a Bologna, hanno un componente di 75 anni di età o più e 22.572 di questi sono composti da un solo membro (sono anziani che fanno nucleo a sé, magari vivono soli o condividono l’alloggio con figli e nipoti), 11.987 sono coppie di coniugi, e più di 1.900 sono composti da padri o madri che vivono con figli e altri conviventi.
I dati comunali riportano poi che ci sono nuclei familiari molto ampli (1.721 con un numero di membri tra 6 e 10 e 27 con più di 10 membri) e che vi sono famiglie che condividono l’abitazione, per ragioni economiche o altro: ben 19.171 “unità domestiche” (abitazioni) sono condivise da più nuclei familiari. In totale, però, le unità domestiche sono 188.046, di cui 168.875 sono uni-familiari, cioè con un solo nucleo.
Il patrimonio abitativo
Questi dati comportano che, in sostanza, a Bologna vi siano poco più di 188mila abitazioni attualmente abitate. Qual è il patrimonio abitativo bolognese e come viene occupato? I dati del patrimonio, secondo le rilevazioni comunali, dicono che a Bologna vi sono 230.077 abitazioni. I dati catastali, invece, riportano nel territorio comunale 230.710 unità immobiliari di tipo residenziale (per un totale di 1.162mila vani catastali), il 71% delle quali (165mila) appartenenti alla categoria A3 (abitazioni di tipo economico); le abitazioni di tipo popolare (A4) sono invece oltre 39mila (17%), mentre quelle di tipo civile (A2) rappresentano il 10% del totale (circa 24mila). Mediamente, le unità di tipo A3 hanno cinque vani, quelle di tipo A4 ne hanno 4.2, quelle di tipo A5 ne hanno 2.6 e quelle di tipo A2 ne hanno 6.6. Secondo i dati catastali, il numero di immobili di tipo residenziale è aumentato di quasi 10mila unità dal 2009, segnando un incremento più rapido nell’ultimo decennio: dal 2015 sono aumentati di 6.500 unità gli immobili di tipo A3 e di 4.500 quelli di tipo A2, mentre sono diminuiti di 3.900 unità quelli di tipo A4 e A5.
Tra l’altro, nell’ultimo decennio sono diminuiti gli immobili di tipo non residenziali destinati a negozi (C1), di quasi 900 unità (oggi sono 12.716), a laboratori per arti e mestieri (C3), di 600 unità (oggi sono 2.572), e ad alberghi e pensioni (D2, da 219 a 192), mentre sono aumentati, di poco, i fabbricati per uso commerciale (D8, da 1.105 a 1.259).
Ora, è chiaro che il confronto tra i dati del patrimonio abitativo – quasi 231mila unità immobiliari per uso residenziale – e il numero di abitazioni effettivamente abitate da uno o più nuclei familiari – 188mila – mostra come vi siano a Bologna ben 42.664 unità “vuote”, cioè non ufficialmente abitate da famiglie residenti. Che parte di queste vengano destinate ad affitti brevi a non residenti è senz’altro possibile, ma è anche vero che è stata la domanda abitativa della popolazione studentesca, non residente, ad aver trainato, in passato, questa offerta.
La popolazione studentesca
Quanti sono gli studenti universitari a Bologna? I numeri più recenti indicano che nel 2023/24 all’Università di Bologna si sono iscritti a corsi di laurea 84.234 ragazzi e ragazze e 7.051 a scuole di specializzazione, master e dottorati, per un totale di 91.285 persone. Di questi 29.678 sono stati esonerati dal pagamento dei contributi di iscrizione (2.364 parzialmente). L’università di Bologna, però, ha una sede a Bologna e altre quattro sedi a Forlì, Cesena, Ravenna e Rimini, alle quali sono iscritti 20mila di quegli studenti. Sulla città di Bologna, quindi, gravitano poco più di 63.500 universitari laureandi. Quanti di questi sono residenti a Bologna e provincia? Quanti provengono da più lontano, tanto da necessitare di un’abitazione in affitto? I dati più recenti forniti da Unibo per l’anno 2021/22 indicavano che del totale degli iscritti all’università nelle sue varie sedi, il 22.5% risiedeva in provincia di Bologna e il 28.6% nelle altre province della regione. Nella sola sede di Bologna, il 25.5% degli iscritti risiedeva a Bologna e provincia mentre il 22.7% risiedeva in altre province della regione: poco più di 33mila studenti che quindi, in teoria, non necessitavano di un’abitazione in affitto. Dal che ne deriva che gli altri quasi 33mila erano “fuori sede”, come si suol dire, ovvero provenienti da altre province e regioni d’Italia, tutti bisognosi di un alloggio.
In sostanza, dai soli studenti universitari viene una domanda di alloggi pari a circa 33mila vani, come minimo, che nel passato trovava nell’offerta di abitazioni cittadine una collocazione. È difficile, certo, valutare come questa domanda venisse soddisfatta in passato, ma possiamo comunque fare una stima. Secondo uno studio del Comune (menzionato dal Piano per l’abitare), le residenze studentesche pubbliche offrono a Bologna circa 1.900 posti letto, mentre quelle private hanno già superato i 2.200 posti, il che significa che almeno 4.100 persone trovano alloggio in uno studentato. Come si collocano i rimanenti 27mila (cui andrebbero comunque aggiunti quei 7mila studenti post-laurea)? Facciamo delle ipotesi. Supponiamo che 10mila di quegli studenti trovino in affitto un’abitazione con 4 vani da condividere, che altri 9mila ne trovino una con 3 vani e altri 5mila con due vani e che altri tremila vadano in affitto da soli: ciò implicherebbe che 2.500, più 3.000, più 2.500, più altre 3.000 abitazioni verrebbero affittate a studenti, per un totale di 11mila, soddisfando così tutta la domanda dei 27mila studenti laureandi. Se a queste aggiungiamo le 7mila abitazioni date in affitto agli studenti post-laurea, si avrebbe così che 18mila abitazioni sul mercato potrebbero essere riservate agli studenti, per lasciarne libere 24.600 tra quelle ufficialmente “vuote” (non affittate a residenti).
Gli affitti brevi
Secondo dati recenti, a Bologna vi sarebbero circa 5mila abitazioni disponibili per affitto breve, per un numero di posti letto stimato di 17mila unità (cresciuto negli ultimi due anni del 40%). Ora, se è vero che sono queste le abitazioni che sul mercato competono con l’offerta disponibile per gli studenti, è però anche vero che rimarrebbero fuori dal mercato quasi 20mila abitazioni, vuote, non affittate a residenti o a studenti. Perché sono vuote? Perché non vengono messe sul mercato?
La domanda di alloggi è certamente cresciuta, a fronte di un’offerta che è aumentata di poco negli ultimi anni (il patrimonio edilizio abitativo). L’effetto del turismo, che agisce sull’offerta di affitti brevi, ha senz’altro provocato un aumento dei canoni (tanto sul breve che sul lungo), ma a giudicare dai dati siamo ancora lontani da una situazione di vincolo dal lato dell’offerta. Piuttosto, pare essersi messo in moto un effetto “speculativo” di attesa: limitare l’offerta per far aumentare i prezzi.
I turisti
Nel 2024 si sono registrati a Bologna 1.836.216 arrivi (+6,4% sul 2023) e 4.098.212 presenze (+13,3% sul 2023) nel capoluogo. Nel 2024, sono stati registrati 4.098.212 pernottamenti (nel capoluogo) e 5.807.269 nei comuni della Città Metropolitana. A Bologna vi sono 93 esercizi alberghieri con 6.661 camere (e 12.713 posti letto) e 4820 camere (con 11.135 posti letto) in esercizi extra-alberghieri. Nel totale della provincia vi sono 21.591 camere (con 44.943 posti letto) disponibili. In effetti, la disponibilità complessiva di camere assomma a 4.190.565 camere annue (cioè, per 365 giorni), più che sufficienti a coprire i pernottamenti richiesti (considerando che vi sono turisti che si fermano più di una notte e spesso non sono soli). In sostanza, l’offerta alberghiera ed extra-alberghiera pare sufficiente a coprire l’attuale domanda, pur avendo probabilmente agito sulla lievitazione degli affitti.
La domanda, quindi, rimane: cosa giustifica quella certa rigidità dell’offerta di abitazioni per il libero mercato, tale da lasciare ventimila alloggi “vuoti”? Ovvero, è solo la prospettiva di vedere gli affitti aumentare ulteriormente o vi è dell’altro?
Il mercato immobiliare, gli affitti e le condizioni di reddito delle famiglie
Per completare l’analisi occorre guardare alle tendenze del mercato immobiliare, che si riflettono sul mercato delle locazioni, ma anche ai mutamenti della popolazione locataria. Secondo i dati dell’Ufficio statistico comunale, il numero delle compravendite immobiliari, dopo un picco di 6.787 nel 2022 si è assestato nel 2024 a 5.783. Il mercato – non solo a Bologna – non ha ancora superato la fase di incertezza subentrata dopo il 2019, tanto per la stagnazione dei redditi che per il peggioramento delle condizioni di accesso al credito. Anche i prezzi, di conseguenza, sono stabili, dopo avere registrato notevoli aumenti negli anni scorsi. Il peggioramento del mercato immobiliare, comunque, è ritenuto tra i fattori responsabili dell’aumento della domanda di locazioni.
Secondo l’indagine dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare di Nomisma, infatti, «in attesa che attraverso il ricorso al credito l’acquisto di casa torni ad essere accessibile per una quota di soggetti recentemente esclusi, il sovraffollamento che si è venuto a determinare sul segmento della locazione ha impresso un’ulteriore accelerazione ai canoni, che sono cresciuti quasi ovunque con intensità ampiamente superiore al 3% annuo». Pertanto, appare in crescita la quota di famiglie che considera l’affitto come l’unica opzione possibile a causa della mancanza di risorse economiche sufficienti per accedere al mercato dell’acquisto. Secondo Nomisma, la quota delle famiglie che opta per l’affitto è passata dal 56% del 2023 al 59.3% del 2024 a livello nazionale (a Bologna è il 54%). A causa delle difficoltà di accesso al mutuo (necessario nel 76% delle compravendite), non riescono ad acquistare una casa lavoratori, studenti e giovani coppie, che tendono ad avere aspettative più flessibili. In questo modo, però, l’aumento della domanda di locazioni sta spingendo i canoni al rialzo (il 7.3% nel 2024), con rendimenti medi lordi annui che sfiorano il 4.9% per un bilocale e il 4.4% per un trilocale, «un valore che a Bologna non si raggiungeva dalla fine degli anni Novanta, con tempi di locazione pressoché nulli, sia che si tratti di abitazioni usate o nuove».
Quante sono le famiglie che vivono in abitazioni in affitto? Nel 2011 delle famiglie residenti a Bologna il 30% era in affitto (un po’ di più del 2001, quando erano il 29%). Nel totale della provincia, erano il 18%. Le coabitazioni riguardavano, invece, il 9.5% delle famiglie. Le stesse percentuali, peraltro, si mantenevano nel 2019 (quando risultavano 201.457 abitazioni occupate a vario titolo, di cui 59.880 in affitto, dati censuari), ben superiori in proporzione alla media provinciale e regionale. Escludendo le famiglie in alloggi di edilizia residenziale pubblica (circa 12mila), vi erano dunque circa 48mila famiglie in alloggi locati a libero mercato.
Oggi, secondo i dati riportati nel Piano urbanistico generale del Comune di Bologna, su un totale di 228.861 alloggi, quelli in affitto sono 46.622, di cui gli alloggi ERP locati sono 10.430. Sono numeri che denotano un notevole calo dal 2019, nonostante le 27.404 abitazioni in più: gli alloggi in affitto sono oggi il 20.4% (erano il 27.2%), anche se la quota ERP di questi è salita dal 20% al 22.4%.
Se riteniamo attendibile una stima della domanda di alloggi degli studenti fuori sede di 12mila abitazioni (più 7mila per gli studenti post-laurea), ciò significa che la domanda di alloggi in affitto sul mercato è oggi pari a 36mila (da parte delle famiglie), più 19mila da parte degli studenti, più quelle 5mila delle abitazioni destinate agli affitti brevi, ovvero circa 60mila. Secondo i dati riportati nel Piano urbanistico menzionato, l’offerta totale di abitazioni in locazione in città sarebbe pari a 54.290 alloggi (di cui 46.622 attualmente locati a famiglie). A fronte di una domanda di più di 60mila alloggi, ciò implica che la domanda inevasa di alloggi in locazione nel territorio comunale sarebbe di più di 6mila abitazioni. Resta però il fatto che, come abbiamo rilevato sopra, vi sono a Bologna ancora circa ventimila alloggi teoricamente vuoti, ovvero non abitati da famiglie residenti, che potrebbero aggiungersi all’offerta di abitazioni in locazione. Gli alloggi attualmente locati a famiglie, infatti, non rientrano nel computo degli alloggi “vuoti” in quanto è verosimile assumere che le famiglie locatarie siano anche residenti e sono quindi escluse da quella stima.
Il problema, a quanto traspare da varie indagini, è che l’affitto in locazione a famiglie è divenuto sempre più problematico tanto per le famiglie locatarie che per i proprietari locatori. Come già nota il Piano urbanistico del Comune, infatti, «per un numero considerevole di famiglie, infatti, le condizioni economiche si sono fatte così difficili da dover richiedere un sussidio pubblico per il sostegno alla locazione o chiedere, addirittura, un alloggio pubblico». «Per sostenere un canone di 500 Euro al mese (che è la media del canone di chi ha presentato domanda) in condizioni di “sicurezza accettabile” (cioè, dedicando non più del 30% del proprio reddito netto disponibile al pagamento del canone) servirebbe un reddito netto disponibile annuo di almeno 18.000 Euro, che significa un reddito lordo imponibile attorno a 26.000 Euro».
Ora, secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate sui redditi IRPEF, a Bologna, nel 2024, ben 161.153 contribuenti residenti in città, su un totale di 299.690 (il 53.8%), hanno dichiarato un reddito inferiore a 26mila euro. Nel 2022 erano stati 11mila i nuclei familiari che avevano fatto richiesta di un contributo, novemila dei quali erano risultati eleggibili, 7.200 dei quali aveva un reddito ISEE inferiore a 10mila euro annui. Un reddito lordo di 26mila euro corrisponderebbe a un reddito ISEE di 17mila euro. Il che implica, come sottolinea il Piano urbanistico, che i nuclei con reddito ISEE inferiore a 10mila euro sono in condizioni evidenti di fragilità. È chiaro quindi che la distribuzione del reddito tra i residenti bolognesi pone un’ampia fascia di residenti in condizioni di difficoltà economica che rende insostenibile l’eventuale necessità di dover pagare un affitto per un alloggio in città.
Dal lato dei proprietari, poi, si è fatto via via stringente il problema delle insolvenze e del dover procedere a sfratti per gli inquilini non adempienti. Di fronte all’obbligo di dover mettere a contratto affittuari per periodi di quattro anni (più quattro rinnovabili), per poi trovarsi di fronte alla possibilità di un’insolvenza, e per non poter disporre dell’immobile per periodi più brevi, da mettere sul mercato, si è fatta via via strada la possibilità di lasciare l’immobile “sfitto” per poi magari affidarlo al mercato degli affitti brevi (o lasciarlo vuoto e magari venderlo).
Il mercato degli affitti, per le famiglie, si è fatto quindi più difficile: un’offerta rigida, con canoni crescenti, a fronte di redditi insufficienti. Certo, bene ha fatto la giunta comunale – insieme a Città metropolitana e Asp – a costituire la Fondazione Abitare Bologna (Fab), ovvero l’agenzia prevista dal Piano per l’abitare che si occuperà di recuperare i vuoti urbani in città, allentando così la pressione della crisi abitativa. Il Piano del Comune, peraltro, prevede 200 milioni di investimento (quando il governo nazionale, per l’intero Paese, ne mette a bilancio appena 600). Una goccia nel mare, cui le politiche pubbliche nazionali certo non contribuiscono. Anche il Piano del Comune, tuttavia, resta in gran parte subordinato all’intervento dei privati: dei 10.000 appartamenti previsti, 5.000 saranno di edilizia privata e 2.000 destinati alle “alte professionalità” – cioè, ai redditi alti – dei dipendenti del Tecnopolo, il nuovo centro ai margini della città (che sta già portando in alto i prezzi del Quartiere San Donato, in cui si trova anche il palazzo di via Michelino oggetto del recente sgombro violento di affittuari sfrattati). Il resto, circa 3.000 alloggi, sarà più che altro housing sociale (ERS), pensato per chi guadagna troppo per un alloggio popolare, ma troppo poco per il mercato libero. La grande assente rimane, come ovunque, l’edilizia residenziale pubblica (ERP), nonostante gli oltre 5.000 aventi diritto in lista d’attesa.
Se, pertanto, anche il Comune dovrebbe cambiare logica, il problema, però, è che vi sono dinamiche nell’offerta di abitazioni e nelle condizioni della domanda che vanno ben oltre le possibilità del Comune. Il mercato spinge per una riduzione delle offerte in locazione a famiglie. Le famiglie, a loro volta, si ritrovano con redditi che sono, soprattutto per le fasce delle professioni meno qualificate, bassi e stagnanti. Se consideriamo che in una città con più di 392mila residenti e 350mila adulti, dei quasi 300mila contribuenti ben 83.237 (il 27.8%) ha un reddito lordo dichiarato inferiore ai 15mila euro annui, dobbiamo davvero pensare che per molti di loro, a Bologna, non c’è posto ove abitare.
Secondo un’inchiesta dell’IRES CGIL del 2024 dal titolo Città del lavoro o città della rendita? nel capoluogo emiliano chi guadagna 1500 euro e non ha una casa di proprietà può considerarsi povero: «Il benessere autoalimenta se stesso acuendo la diseguaglianza». L’Osservatorio di Nomisma riporta che dal 2021 «i canoni di locazione sono aumentati più della media nazionale con i nuovi contratti che registrano un canone medio di 813 euro (dati 2023) rispetto a una media nazionale di 541 euro». Il portale Immobiliare.it ha invece rilevato che a settembre 2025 il prezzo medio per gli affitti residenziali è stato di 17,06 €/m², in aumento rispetto ai 16,64 €/m² di settembre 2024. Oggi a Bologna – come nota anche Gessi White in Città in affitto (Laterza, 2025) – fanno fatica a trovare casa a prezzi dignitosi anche medici, forze dell’ordine e dipendenti comunali.
Il problema, però, non è che «non vi sono alloggi», su cui la narrazione corrente racconta di una presunta “fame di case” che sembra preannunciare un nuovo boom edilizio e un ulteriore consumo di suolo. Il problema, piuttosto, è che vi sono ben 20mila abitazioni vuote, come detto sopra (Nomisma stima che a Bologna sarebbero circa 18.000 le abitazioni inutilizzate o sottoutilizzate). E che i canoni d’affitto non sono più accessibili ad un’ampia platea di persone e i salari sono stagnanti. L’assenza di criteri “sociali”, accanto a tutte le detrazioni, i bonus, gli sgravi e gli incentivi statali che negli anni hanno gravato la spesa pubblica a favore della proprietà privata – come racconta Sarah Gainsforth in L’Italia senza casa, Laterza, 2025 – smentisce chi afferma che i privati debbono poter disporre dei propri beni come vogliono. La rendita privata succhia risorse pubbliche e anche i proprietari di immobili, in quanto tali, dovrebbero sentire di avere un debito specifico verso le comunità e una responsabilità sociale di cui dovrebbero rispondere.
Come in molte altre città, anche a Bologna si è voluto puntare sull’attrattività dei grandi capitali e sull’idea che questi potessero portare risorse, senza considerare che questi avrebbero trasformato la città in uno spazio sempre più esclusivo. Non si può comprendere la crisi abitativa odierna senza considerare l’impatto che, oltre alle piattaforme digitali, hanno avuto – e continueranno ad avere – sul mercato locativo le grandi operazioni immobiliari: dagli studentati di lusso alla “valorizzazione” del mattone, spesso mascherata da rigenerazione urbana, sostenuta da leggi regionali che hanno di fatto determinato la fine della pianificazione pubblica (come ricordava il volume a cura di Ilaria Agostini, Consumo di luogo. Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna, Pendragon, 2018).
Se si vuole rendere Bologna una città abitabile per tutti – e soprattutto per chi vi lavora, anche quei lavoratori delle mansioni meno retribuite e pur necessari che a Bologna formano il grosso della manodopera “bassa” ma insostituibile – bisognerà agire sul mercato immobiliare, certo, ma anche sul governo (locale e nazionale), sui criteri di tassazione, e sulle rendite. E sui redditi di quella grande parte della popolazione che fa marciare l’economia ma viene esclusa dai suoi benefici.