È passato ormai un anno dall’alluvione che, tra il 19 e 20 ottobre 2024, ha colpito Bologna e il suo territorio metropolitano, causando una morte e gravi danni, e costringendo decine di migliaia di persone a spalare fango per giorni e giorni, in un’ondata solidale che ci ha visto collettivamente affrontare, pale alla mano, le conseguenze del riscaldamento globale.
Nei prossimi giorni, e in concomitanza con l’anniversario, leggeremo le dichiarazioni che ci racconteranno quanti cantieri sono stati avviati negli ultimi dodici mesi, quanti progetti sono stati elaborati, quanti euro sono investiti per mettere in sicurezza il territorio. In realtà, Bologna aspetta la prossima alluvione, avendo imparato ben poco dalla precedente.
Molte strade interrotte dalle frane sono state ripristinate nell’area collinare. Le ruspe hanno ripulito dai detriti il reticolo idraulico secondario, mentre il Ravone, che l’anno scorso è esondato tra lo stupore di gran parte degli abitanti dei quartieri che attraversa, ha una tombatura tutta nuova e scintillante, almeno nei tratti in cui l’acqua l’aveva demolita.
Quel che però l’alluvione del 2024 ci ha duramente insegnato è che, nella crisi climatica, nulla è più come prima. E, se gli eventi estremi si fanno sempre più frequenti, la scala che possono raggiungere è ignota. Il fango che invadeva i quartieri di Bologna nella notte tra il 19 e 20 ottobre ci ha detto che il territorio non è più in grado di gestire la quantità d’acqua riversata a terra dagli eventi meteorologici nell’era della crisi climatica. Di fronte a questa evidenza, nulla dovrebbe essere più come prima, e la tutela del suolo – che, ricordiamolo, è la prima difesa di fronte agli eventi estremi – dovrebbe essere al primo posto nell’agenda politica.
Eppure, proseguono i tavoli per portare a compimento l’allargamento del Passante autostradale, come se il potenziamento della mobilità su gomma e l’aumento del traffico fossero più importanti del limitare i danni dei prossimi eventi estremi. Intere aree boscate sono già state distrutte per fare posto a un cantiere di cui ancora non si conoscono i dettagli e, nel frattempo, la Valutazione d’Impatto Ambientale è invecchiata di un altro anno. La rifaranno? Le vicende di questi anni, e il rifiuto del Comune di Bologna di fronte alla richiesta di una Valutazione di Impatto Sanitario, autorizzano a dubitarne.
Quello dell’allargamento di tangenziale e autostrade – che coinvolge anche le direttrici verso Cesena e Padova – è un pugno nello stomaco, il vero elefante nella stanza di una città che ha subito un’alluvione, e aspetta la prossima. Il caso esemplare che fa cascare un castello di narrazioni che cozzano con la realtà del riscaldamento globale. Da una parte perché, assieme a nuovi lotti residenziali e commerciali e altre infrastrutture stradali anch’esse più strategiche dell’emergenza climatica, perpetua un consumo di suolo che a Bologna continua a essere altissimo; dall’altra perché evidenzia la spregiudicatezza con la quale le risorse collettive continuano a essere investite per garantire i flussi di profitto, e non il benessere delle persone. Parliamo di miliardi di euro che genereranno nuove criticità idrauliche – perché, checché ne dica chi ama la parola ‘compensazione’, il suolo non è infinito, e meno ne abbiamo, meno spazio ci sarà per l’acqua – e che, invece, potrebbero essere destinati alla cura dei territori che viviamo.
Nei mesi passati abbiamo visto un centinaio di alberelli posizionati nelle piazze centrali della città, mentre l’amministrazione comunale aveva annunciato entro settembre – ah, ma siamo a ottobre – un piano per la desigillazione della città.
Per noi desigillare significa togliere strade e parcheggi per avere parchi e boschi; significa fare scelte innovative – per esempio, perché non desigillare tre delle sei corsie dei viali e farci un anello boscato, e dei sentieri pedonali e ciclabili? – che trasformino radicalmente il volto dell’urbano, per realizzare contaminazioni tra nature e culture e migliorare la qualità della vita di chi abita la città. E significa, soprattutto, fermare l’espansione della cementificazione del territorio.
E allora, prima di leggere le dichiarazioni nel giorno dell’anniversario dell’alluvione, è bene specificare che desigillare non significa ritagliare qualche aiuola in mezzo al traffico, ma rimuovere la maggior quantità possibile di asfalto e cemento; che forestare non significa posizionare degli alberelli da selfie, ma dare spazio ai boschi; che affrontare la prossima alluvione non significa ripristinare ciò che c’era prima dell’ultima, ma trovare le forme per restituire spazio all’acqua. Tutto il resto è mettere le mani avanti, aspettando la prossima alluvione.