Alcune Commissioni parlamentari antimafia si sono distinte per una decisa volontà di ricercare i nessi politici ed economici che rappresentano le caratteristiche fondanti di questa particolare forma di violenza organizzata. Il dato peculiare che distingue, infatti, la mafia dalle altre forme di criminalità è la ricerca di un collegamento permanente con il potere politico e con gli apparati dello Stato che dovrebbero, teoricamente, combatterla. Chi sorvola su questi aspetti non ha intenzione di occuparsene seriamente. Della prima Commissione non si ricordano i nomi dei presidenti che si succedettero alla guida in tre diverse legislature. Nei tanti documenti raccolti (alcuni rimasti a lungo non consultabili), si possono trarre sicuramente considerazioni importanti sulle cause del fenomeno ma è indubbio che essa è passata alla storia per la straordinaria relazione di minoranza firmata da Pio La Torre e da Cesare Terranova, alla cui stesura collaborarono alcuni magistrati palermitani. A dimostrazione di quanto possa essere utile il contributo dell’opposizione.
Ci sono state, poi, alcune Commissioni che nessuno più ricorda perché lo scopo di chi le guidava era quello di negare o annacquare tali nessi. Invece, quella attuale, presieduta dall’on Chiara Colosimo di Fratelli d’Italia, si è da subito caratterizzata per la volontà di modificare radicalmente le interpretazioni acquisite sul fenomeno mafioso e di emarginare, di conseguenza, tutti coloro che la pensano diversamente.
In effetti, stiamo assistendo al secondo tempo delle leggi “ad personam”, di quelle norme, cioè, votate dal parlamento con il solo scopo di favorire le aziende di Berlusconi e garantirne l’impunità. Oggi il Senato sta discutendo di una legge presentata da Fratelli d’Italia e Forza Italia, che al posto di favorire una sola persona ne vuole distruggere due. I destinatari-bersagli sono unicamente gli ex magistrati Roberto Scarpinato e Federico Cafiero De Raho. Non era mai successo nella storia del parlamento italiano che si arrivasse a tanto. La proposta di legge non prevede che chi ha un presunto conflitto di interessi debba essere escluso da ogni Commissione parlamentare. No, niente affatto: solo e unicamente dalla Commissione antimafia, in spregio totale della nostra costituzione. Questa norma, uno dei punti più bassi della democrazia parlamentare, la si può benissimo definire la “legge del rancore” contro Scarpinato e Cafiero De Raho.
D’altra parte, ex magistrati sono stati sempre presenti nelle varie Commissioni antimafia. Tra essi Piero Grasso, Cesare Terranova, Filippo Mancuso, Oscar Scalfaro, Giuseppe Di Lello, Ferdinando Imposimato, Nitto Palma, Luigi Bobbio (eletto con Alleanza nazionale). Ben quattro magistrati l’anno presieduta: Donato Pafundi, Luciano Violante, Tiziana Parenti e Roberto Centaro (questi ultimi di Forza Italia). Solo due volte furono sollevati problemi di incompatibilità quando la Dc propose uno stretto collaboratore di Salvo Lima e quando nel 2008 furono prescelti dei condannati per corruzione.
Le spiegazioni della norma? In più momenti è sembrato che a dettare la linea dei lavori della Commissione fossero il generale Mori e il colonnello De Donno, alla ricerca di una rivincita sulla procura di Palermo e sulla Dna (direzione nazionale antimafia). Scarpinato è, poi, fortemente convinto che nella stagione eversiva di Cosa nostra abbiano giocato un ruolo importante terroristi di destra in collegamento con settori dei servizi segreti. Alcuni di essi, condannati con sentenze definitive, avevano rapporti con esponenti di Fratelli d’Italia.
Che mondo politico capovolto è quello in cui si propone di vietare la partecipazione alla Commissione non ai collusi con le mafie o ai condannati per corruzione ma a coloro che li hanno tenacemente contrastati!
Questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 9 ottobre 2025