Ricordi di un vecchio obiettore al servizio militare

di Pietro Maria Alemagna /
1 Dicembre 2024 /

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Immagine di copertina, "Il disertore" di Octav Băncilă (1906, dettaglio)

Martedì 3 dicembre alle ore 20 presso il Centro Culturale Giorgio Costa (Via Azzo Gardino 48, Bologna) Il manifesto in rete ospiterà la presentazione del libro di Francesco Misiano “Il disertore” (Cronopio). Ne discuteranno Luca Salza (Università di Lille) e Franco Berardi “Bifo”. (locandina QUI | evento facebook QUI).

Pubblichiamo qui di seguito un articolo, collegato ai temi che saranno discussi durante l’incontro, firmato da Pietro Maria Alemagna. Attraverso il filtro della memoria personale, Alemagna offre considerazioni preziose sull’obiezione al servizio militare connettendo la stagione di lotte del ’68 con l’attualità contemporanea, segnata dai conflitti bellici internazionali e più che mai bisognosa di processi di pace. Buona lettura

Io nel ’68 non c’ero.

Nel ’68 pur abitando a Bologna preparavo la mia tesi di laurea in architettura a Firenze.

Preso come ero da questo impegno e dal lavoro che contemporaneamente svolgevo come disegnatore presso uno studio di architettura  a Bologna, mio padre era morto nel ’63  e dovevo quantomeno mantenermi, seguivo con attenzione, ma solo da osservatore, le vicende che animavano quel periodo.

In realtà tutta la mia vita universitaria che si era svolta fra lo studio, da pendolare,  a Firenze e la vita quotidiana e di lavoro a Bologna, ha sofferto di questa sensazione di non trovare un luogo in cui collocarmi con precisione e di essere spettatore di molto e attore di poco.

Partecipavo comunque alle assemblee a Firenze sempre però attento all’ora per non perdere il treno per Bologna. Il treno della mattina all’alba e quello della sera al tramonto erano in definitiva  l’unica possibilità, più che per scambiare opinioni con altri, per riflettere e pensare.

Ed in questi momenti di dialogo con me stesso un problema mi assillava principalmente. Il problema era quello del servizio militare che mi aspettava a conclusione degli studi e che non ero riuscito ad evitare pur nella mia condizione di orfano di padre.

Ed è qui che la mia storia ha a che fare con l’acquisizione di una coscienza pacifista che è un altro di quei valori che dobbiamo a quel periodo.

I segni che aveva lasciato in tutti noi giovani il conflitto in Vietnam mi avevano da tempo portato ad un rifiuto cosciente degli orrori della guerra. Il movimento che, pur non coinvolgendomi direttamente,  circondava la mia vita mi convinse, poco alla volta,  che il servizio militare che mi aspettava non era solo un’inutile perdita di tempo, come in fondo ritenevo fino ad allora.

Esso era principalmente contrario al mio rifiuto della violenza e della prevaricazione.

Quella che prima per me era solo una sensazione, era diventata una convinzione  etica ed ideologica su cui fare delle scelte di vita, che debbo proprio al’68.

La fatica per arrivare a questa convinzione va anche situata nelle mie origini famigliari con un nonno pioniere nell’aviazione militare dell’inizio del secolo, uno zio pure ufficiale d’aviazione ed un padre medico militare.

La scelta che mi si cominciava a prospettare era quella dell’obiezione di coscienza. Scelta allora difficile e piena di rischi anche penali che, debbo confessare con onestà, mi spaventavano e che non so se avrei avuto realmente il coraggio di affrontare fino in fondo.

Per la prima volta nel 1966, con la cosiddetta “legge Pedini” veniva  riconosciuto il “volontariato

civile” nei paesi in via di sviluppo, concedendo la dispensa dal servizio militare ai cittadini italiani impegnati per almeno due anni in un servizio di assistenza tecnica nel Terzo Mondo.

In un primo tempo era sembrato che la legge offrisse una soluzione al problema di fondo che era l’obiezione di coscienza, permettendo una specie di servizio civile nel terzo mondo, al posto del servizio militare. Ma la legge si era poi rivelata, fin dalla sua prima difficile e complicata applicazione,  ambigua e insufficiente. Una legge che era punitiva per chi ne fruiva perché portava a ventiquattro mesi i tempi di permanenza all’estero con un salario uniformato su quello del più basso grado nella gerarchia dell’esercito. Una legge che si dimostrava nei fatti pensata per pochi privilegiati che potevano mettersi al servizio di ditte private, enti statali e religiosi, interessati a impiegare personale poco pagato nei paesi sottosviluppati.

Nonostante questi limiti  quella a me sembrava un’occasione per dare una risposta, forse anche facile ed indolore, alle mie convinzioni.

La  scelta del paese dove andare era pure frutto della nostra recente storia. Questo paese non poteva che essere l’Algeria con la sua gloriosa rivolta anticoloniale e l’indipendenza del ’62.

Il caso volle che il mio relatore di tesi,  Prof. Lionello de Luigi (il progettista del parco di Pinocchio a Collodi), avesse avuto dal Ministero dell’Istruzione Pubblica italiano l’incarico, con il prof. Ludovico Quaroni, di organizzare una “Ecole d’architecture” proprio ad Algeri.

E’ attraverso di loro che, nella primavera del ’69, sono riuscito a partire per l’Algeria nel primissimo ”contingente” di cooperanti per la legge Pedini (una quindicina in Tunisia ed io in Algeria) impegnato nell’avviamento della scuola e nell’insegnamento.

Sono rimasto in quel bel paese anche oltre i due anni del  servizio civile, nella cooperazione internazionale,  per un totale di cinque anni.

Per tutto questo io non solo non c’ero nel ’68, ma neanche dopo, fino al ’73, anno in cui sono tornato a Bologna per lavorare nel Movimento Cooperativo, restando, ancora una volta, solo spettatore di quanto stava succedendo dall’altra parte del mediterraneo e, più in particolare, nella nostra città.

Qui si ferma la mia storia che, come ben si vede, ha a che fare con il ’68.

Ma più della mia storia è importante ricordare come anche il tema dell’obiezione di coscienza e del suo sviluppo nel tempo sia strettamente legato a quel periodo.

“A partire dal 1968 con la ripresa dell’antimilitarismo e l’incremento delle obiezioni, il problema trovò un’eco crescente nel paese come dimostra la costituzione nel 1969 della Lega per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza (cui aderirono numerosi gruppi e movimenti nonviolenti, organismi religiosi, le ACLI ed esponenti qualificati di partiti di sinistra e di centro) e nel parlamento, come dimostra la presentazione del disegno di legge Fracanzani, che accoglieva la maggior parte delle richieste degli obiettori. Nel 1970/71 gruppi di 6-7 persone fecero obiezioni collettive con motivazioni soprattutto politiche; l’esercito è rifiutato non solo per motivi morali e pacifisti: i giovani che lavorano in gruppi di sinistra e di base arrivano a rifiutare l’esercito come continuità del loro lavoro anticapitalistico. Sotto la spinta di questi gruppi e di tutti i movimenti pacifisti, radicali e nonviolenti il governo italiano approvò sotto il condizionamento delle gerarchie militari e delle forze di destra il disegno di legge Marcora invece di quello Fracanzani.

Passò così la legge n. 772 il 15/12/72 che dava il diritto all’obiezione e al servizio civile sostitutivo per motivi morali, religiosi e filosofici. La legge restrittiva e punitiva (8 mesi in più, commissione giudicante, esclusione delle motivazioni politiche, dipendenza dai codici e dai tribunali militari) fece nascere subito un movimento di lotta degli obiettori che si unirono nella Lega Obiettori di Coscienza (LOC)” (L’obiezione di coscienza a cura di LOC).

La questione dell’obiezione di coscienza, che non sembrava più all’ordine del giorno con l’abolizione del servizio militare obbligatorio, è invece ancora aperta in quanto essa non esclude che in caso di necessità lo Stato possa reclutare personale su base obbligatoria qualora, nei casi di guerra e di emergenze internazionali, l’esercito non raggiunga il numero sufficiente di soldati volontari.

Lo scenario internazionale odierno con il dilagare degli sciagurati conflitti fra popoli, religioni ed etnie riapre la questione e imporrebbe, specialmente ai giovani, una riflessione matura e consapevole  su una scelta che potrebbe presto porsi. Ma purtroppo così non è.

Poco o niente si sa poi di chi, appartenente a uno dei popoli coinvolto in queste guerre, ha fatto questa scelta con tutte le conseguenze che possiamo immaginare. Eppure, di qualche caso fra i giovani ebrei e ucraini si è venuti a conoscenza. Ma non sembra argomento di interesse degli organi di comunicazione. Sarebbe necessario invece saperne di più e muoversi in sostegno di quei giovani coraggiosi, portando così alla ribalta dell’opinione pubblica questo diritto di ognuno di tenere fede alle proprie convinzioni etiche, morali e religiose di fronte agli orrori della guerra e più precisamente di fronte alla eventualità di togliere la vita ad un proprio simile.

Nel ’68 furono i movimenti giovanili a dare anima e radici alla questione.

Facciamo sì che anche oggi siano i giovani, che pur si battono per la pace, a riprendere coscienza di questo diritto.

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