Tra le ricorrenze che in questa fine d’anno richiamano l’attenzione della società civile e non solo, ci pare significativa e attualissima – considerati i venti di guerra che spirano in Europa – quella che riguarda la legge n. 772.
Il 15 dicembre 1972, esattamente cinquant’anni fa, il Parlamento italiano approvava la norma che riconosceva ai cittadini in età di leva il diritto all’obiezione di coscienza e al servizio civile alternativo a quello militare. La legittima aspirazione di tanti giovani italiani a servire la patria senz’armi era finalmente soddisfatta.
Nell’ordinamento giuridico del Paese trovava così cittadinanza una norma che faceva propri alcuni elementi portanti della modernità, quali la soggettività dei diritti, il rispetto delle convinzioni morali e religiose dei cittadini, l’anelito al bando perpetuo delle guerre. Pur con decenni di ritardo l’Italia entrava nel novero dei Paesi in cui era praticata legalmente l’obiezione di coscienza, alcuni come la Norvegia e la Danimarca fin dai primi anni del Novecento, altri come la Francia e il Belgio, da appena un decennio. Gli obiettori, fino ad allora oggetto di accuse di viltà, scarso patriottismo e alto tradimento venivano accolti nel consesso civile e rispettati.
Ben vengano dunque le iniziative che intendono commemorare il cinquantesimo anniversario dell’approvazione della legge n. 772 con dibattiti, pubblicazioni, articoli di stampa, proiezioni filmiche e concerti.
Nella nostra città si è tenuto al cinema Tiberio un incontro pubblico sul tema, organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, il 23 luglio scorso e per il 7 dicembre prossimo si annuncia un secondo appuntamento promosso dalla Rete pacifista riminese.
Ed è stato appunto in preparazione di quest’ultimo evento che, nella ricerca di documentazione specifica sul dibattito parlamentare in merito alla legge, ci siamo imbattuti in una sorprendente citazione storica riguardante, niente meno che… la Rimini di otto secoli fa:
Proprio in Italia si è verificata la più famosa obiezione di coscienza che la storia registri. A Rimini nel 1221, i terziari francescani si sottrassero pubblicamente all’invito del podestà a prestare giuramento di fedeltà perché questo avrebbe comportato il dovere di impugnare le armi. Essi asserivano infatti di non poter né combattere né portare le armi sia di offesa che di difesa. Il papa stesso Onorio III intervenne in favore loro e dei terziari della vicina Faenza.
Il passo riportato figura nella relazione con cui l’on. Carlo Fracanzani il 30 settembre 1971 presentava alla Camera dei deputati una sua proposta di legge, diversa da quella che verrà approvata l’anno seguente.
L’affermazione del parlamentare non poteva non suscitare il bisogno di andare a fondo e di conoscere più nel dettaglio il contesto della vicenda.
Il primo riscontro è stato rinvenuto nel terzo volume della Storia di Rimini di Luigi Tonini, edito nel 1862, in cui – a pag. 286 – si trova un esplicito riferimento a una lettera scritta nel 1221 da Papa Onorio III al vescovo di Rimini, Bonaventura Trissino, affinché operasse che i Frati della Penitenza, cioè del terzo ordine, non fossero tratti dai Rettori di Faenza e delle città vicine a dover prestare giuramento di prendere le armi e servire nella milizia.
Nel tardo medioevo i Rettori delle città, o podestà che dir si voglia, governavano comuni funestati da uno stato endemico di guerra civile alimentata dalle fazioni guelfe e ghibelline in lotta tra loro. Rimini, Faenza, Forlì, Bologna non sfuggivano a tale logica.
Le guerre, si sa, necessitano di uomini armati e anche gli ordini religiosi, alla bisogna, erano sollecitati a mettersi a disposizione del potere civile. I terziari francescani o frati della penitenza, pur vivendo allo stato laicale obbedivano alla Regola del Santo e rifiutavano categoricamente di combattere altri esseri umani, e ancor più di ucciderli.
La lettera del Pontefice di cui parla lo storico Luigi Tonini in realtà era la Bolla “Significatum est” del dicembre 1221 con la quale il Papa autorizzava il vescovo di Rimini a tutelare gli obiettori francescani nella città di Faenza e in quelle vicine, e prefigurava una sorta di servizio civile affidando ai religiosi compiti di assistenza e di manutenzione nell’ambito cittadino. Onorio III si rivolge all’alto prelato di Rimini perché la diocesi di Faenza in quel momento risulta vacante.
Da altre fonti veniamo a sapere che anche a Rimini c’era fermento fra i religiosi se è vero che circa duecento terziari francescani si erano radunati nella Piazza dell’Arengo per protestare contro la chiamata alle armi del podestà locale.
L’informazione si ricava dalle pubblicazioni di alcuni storici purtroppo avari di citazioni archivistiche. Si tratta di J. Jorgensen e B. Neri, autori del libro S. Francesco d’Assisi, 1921, e di G. Tardio, autore de Il Laicato Francescano nella vita religiosa e civile di San Marco in Lamis, 2011.
Proprio perché lacunosa in alcune parti, questa storia suggestiva e anticipatrice merita ulteriori approfondimenti.
Questo articolo è stato pubblicato su Chiamami Città il 6 dicembre 2022