Aspettando il 16 dicembre

di Eduardo Danzet /
14 Dicembre 2021 /

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Cgil e Uil si sfilano dal tavolo delle trattative col Governo per proclamare uno sciopero generale il prossimo 16 dicembre, facendo ribollire le acque chete dell’esecutivo e della narrazione draghiana, come scrive anche Alfonso Gianni sul Manifesto di venerdì scorso.

È infatti la retorica di questa maggioranza, che ricorda un’Armata Brancaleone, torna a salmodiare il mantra della pace sociale, dell’unità del Paese, della responsabilità, ribadito da quasi tutto l’arco parlamentare, verso i sindacati.

Un coro quasi unanime, riproposto anche da gran parte dei giornali progressisti, che accusano le sigle sindacali di soffiare sul fuoco del conflitto sociale; non risparmiando neanche velatamente una serie di attacchi frontali a Cgil e Uil, arrivati perfino dalla Cisl, tramite il suo segretario nazionale, Luigi Sbarra, dalle colonne del Corriere della Sera.

Il terreno di scontro tra sindacati e Governo è sorto sulla decisione di abbassare l’IRPEF e sulla quantità di risorse stanziate per limitare l’aumento del costo delle bollette energetiche.

Un conflitto inevitabile, visto che in entrambi i casi le risorse del Pnrr, “avrebbero consentito una più efficace redistribuzione della ricchezza, per ridurre le diseguaglianze e per generare uno sviluppo equilibrato e strutturale e un’occupazione stabile”.

Sul taglio dell’IRPEF, la riduzione delle aliquote da cinque a quattro non genererà abbastanza risparmi alle fasce con redditi più bassi.

In base alle simulazioni del Sole 24 Ore, dei risparmi derivanti dalla riforma delle aliquote IRPEF beneficerà soprattutto il ceto medio, cioè chi ha un reddito lordo annuo compreso tra i 28.000 e i 50.000 euro: ci sarà un risparmio di circa 320 euro all’anno per chi ha un reddito di 30.000 euro fino a un massimo di 920 per chi ne guadagna 50.000; chi ha un reddito di 20.000 euro ne risparmierà soltanto 100.

Maurizio Landini, segretario della CGIL, aveva proposto un intervento sulle detrazioni e non sulle aliquote per far crescere i redditi a partire da quelli più bassi, come dichiarato in un’intervista a Repubblica.

Egli dichiara che, nelle prime trattative con il Governo, Draghi aveva proposto di escludere per un anno dalla riduzione dell’IRPEF i redditi oltre i 75 mila euro; una soluzione che ha trovato l’opposizione della prossima maggioranza, secondo i rumors accreditata per la minacciosa ipotesi di candidare Berlusconi al Quirinale, Lega, Forza Italia e Italia Viva.

Inoltre, continua Landini, “questo è un problema molto serio: in questo paese la maggioranza che sostiene il governo non sa cosa vuole dire vivere con 20, massimo 30 mila euro all’anno. La riforma fiscale del governo è profondamente sbagliata perché anziché ridurre le aliquote andava allargata la base imponibile dell’IRPEF e accentuata la progressività del sistema”.

Sulle risorse per rimediare al caro bollette energetiche, il primo stanziamento di 2 miliardi di euro copriva a malapena il rincaro fino a marzo, poi il successivo trovato sui 3,8 miliardi è stato giudicato comunque insufficiente.

Per questa classe politica, alleata di vere e proprie lobby e di ricchi industriali, lo sciopero generale è un segnale politico forte, per quanto proclamato con troppo ritardo e non senza contraddizioni: si rompono le relazioni tra le parti sociali e il Governo, termina una sorta di torpore del sindacato nei confronti del Presidente del Consiglio.

È un evento che si ripete dopo il No Draghi Day, manifestazione organizzata dal sindacalismo di base e dalla sinistra radicale contro la manovra finanziaria dell’esecutivo, seguito dallo sciopero del settore scolastico, indetto per le mancate promesse di valorizzazione della Pubblica Istruzione; e questo rischia di mettere fine al torpore sociale che caratterizza il consenso del Governo.

Sfortunatamente, col PD e col M5S ormai sedati dalla normalizzazione draghiana, manca un partito che possa raccogliere e plasmare questo dissenso e rappresentarlo nelle istituzioni.

Anzi, i due alleati di centrosinistra sembrano essere il sintomo più che la soluzione ai mali della nostra democrazia; che da almeno 30 anni è sembrata incepparsi nel circuito della rappresentanza, in cui finiscono per prevalere gli interessi della parte ricca di questo paese, con la maggioranza, nonché parte più povera, che quasi sempre ha la peggio.

Purtroppo, molto spesso, manca il partito perché mancano le persone: personalità realiste e al tempo stesso capaci di grandi e impreviste conquiste sociali, come Togliatti, Nenni, Berlinguer o Pertini. Politici che rappresentavano la sola classe lavoratrice ma capaci di parlare a una larga parte di popolazione; e tanto nel centrosinistra, che non riesce a liberarsi dal giogo del neoliberismo, quanto nella Sinistra radicale, settaria e respingente, c’è una forte mancanza di questi personaggi.

Il timore sarà infine quello dell’isolamento e della sconfitta della Cgil e il suo ritorno all’ovile del tavolo col Governo, lasciando soccombere senza più una rappresentanza gli ultimi.

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