di Tonino Perna
La vittoria del centro-destra in Sardegna non è una novità, lo è invece che a diventare governatore sia un senatore della Lega. E secondo tutti i sondaggi, la popolazione meridionale voterà in massa per la Lega alle prossime scadenze elettorali. Se il trend in atto continuerà il PdS (Partito di Salvini) sarà con buone probabilità il primo partito nel Sud, a dispetto del fatto che proprio lui sta sostenendo con determinazione la cosiddetta «autonomia finanziaria differenziata».
Vale a dire quella «differenziazione» che comporterà per il territorio meridionale il crollo della sanità, delle Università, scuola e servizi essenziali. È difficile accettare che i cittadini meridionali possano votare in gran numero per chi li ha insultati fino a pochi anni fa. Varrebbe la pena tentare di capire perché il leader verde-nero non è un fungo velenoso nato per caso, ma il frutto di un terreno di coltura, di un humus culturale che abbiamo ignorato.
Ci sono delle ragioni strutturali e delle matrici culturali nell’improvviso, incredibile, successo del PdS che si è determinato in soli tre anni. Di certo è stata una mossa elettoralmente geniale cancellare con un colpo di spugna la parola «Nord» e sostituire i «terroni» con gli immigrati. Chapeau! Non c’è che dire. Condizione necessaria, ma non sufficiente per prendere i voti nel resto del paese.
Anche la crisi economica ha giocato la sua parte nel diffondere tra i lavoratori precari, tra gli operai dell’industria e dell’edilizia, l’idea che gli immigrati concorrevano sul mercato del lavoro peggiorando le loro condizioni. In assenza di un sindacato capace di unire le diverse fasce del mercato del lavoro, il Nord col Sud, i lavoratori più esposti alla concorrenza sul mercato del lavoro, sia interno che internazionale (leggi: decentramento delle unità di produzione), hanno cominciato a vedere nella «globalizzazione» dei mercati e nei flussi migratori la ragione del loro impoverimento e marginalizzazione. Sono le stesse ragioni che hanno portato la classe operaia statunitense a votare per Donald Trump.
C’è ancora un altro fattore che spiega il successo del PdS (il Partito di Salvini): l’alleanza con la borghesia mafiosa. Si tratta di una alleanza ovviamente non scritta, né dichiarata, ma che fa parte integrante del programma della Lega e si basa su una proposta concreta: la messa all’asta dei beni confiscati alle mafie. Si tratta di decine di miliardi di euro di beni immobili che verrebbero facilmente riacquistati. Indovinate da chi? Soprattutto, si tratta di un recupero di prestigio e potere territoriale che la legge La Torre, con la confisca del patrimonio mafioso, ha colpito nel cuore. Ma non bisogna sottovalutare la matrice culturale che sta portando al successo del PdS nel Mezzogiorno.
Sicuramente c’è una colpa nostra. Se facessimo capire che con l’autonomia regionale differenziata, la scuola e la sanità passerebbero dallo Stato alle Regioni, costringendole ad adeguare gli stipendi al reddito pro-capite, forse la Lega perderebbe una parte del consenso. Infatti, dato che il reddito pro-capite del Mezzogiorno è di circa 19.000 euro e quello della Lombardia di 37.000 gli stipendi dei dipendenti pubblici regionali dovranno adeguarsi di conseguenza.
Dato che la Grecia ha lo stesso reddito pro-capite della Calabria (17.500 euro) e poco più basso della media meridionale, non andremo molto lontano dalla realtà pensando che nei prossimi anni un insegnante al Sud guadagnerà più o meno intorno a 900 euro al mese, e un medico ospedaliero intorno ai 1.200. Mentre in Lombardia, Veneto ed Emilia gli stipendi dei dipendenti pubblici si avvicinerebbero a quelli della Germania. Ugualmente, anche nel settore privato si andrebbe a questa netta divaricazione portando quello che è l’attuale differenziale salariale del 20% a quasi il 100 per cento! Altro che gabbie salariali degli anni ’50 del secolo scorso.
Non ci sarebbe bisogno di referendum, come voleva il padre della Lega Nord, per arrivare alla Secessione. L’obiettivo era e resta economico e verrebbe per questa via raggiunto. Va detto che quello che ci impedisce di bloccare questo cammino nefasto è anche una profonda ignoranza sulle conseguenze della «autonomia finanziaria» e una mitologia del Sud che è stata creata in questi ultimi vent’anni.
L’autonomia finanziaria di Napoli proposta da de Magistris (che ha stupito molti a sinistra) non è tanto una «sparata elettorale», ma è in linea con un sentimento diffuso di nostalgia, di un fantomatico passato glorioso distrutto dall’Unità d’Italia. Circola da una decina d’anni sui social, ma anche nelle occasioni di incontro dove assistiamo a fugaci battute su Garibaldi che si è venduto il Mezzogiorno ai Savoia, sullo sfruttamento del Sud da parte del Nord cinico e violento. Il successo dei libri di Pino Aprile (Terroni ha superato il mezzo milione di copie) e di altri autori minori andava visto come un segnale preciso del sentimento prevalente tra le popolazioni meridionali. Non che non ci siano delle verità in questa narrazione: il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro del Sud dopo l’Unità d’Italia è ampiamente documentato, la subalternità del Mezzogiorno nel modello di accumulazione capitalistica è stato denunciato da da Dorso a Salvemini ad Antonio Gramsci.
Ma altra cosa è inventarsi un paradiso terrestre sotto i Borboni, un eden che il Mezzogiorno non ha mai vissuto, e sottovalutare la fase di decadenza progressiva del Regno delle Due Sicilie a partire dagli anni ’20 del XIX secolo (come ben documenta il saggio di Pino Ippolito, Quando il Sud divenne arretrato, Guida, 2019).
È chiaro che il maggiore alleato del PdS (il Partito di Salvini) è chi punta a fare la Lega del Sud, e «vende» una immagine del Mezzogiorno che non esiste. Dovremmo riprendere la Carta di Teano dove sindaci e movimenti sociali, provenienti da tutta l’Italia, avevano tentato di rifondare il nostro paese su una base di valori e obiettivi condivisi.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Il manifesto il 27 febbraio 2019