Bologna e beni comuni: qualche calcolo potrebbe essere utile – Seconda parte

6 Settembre 2018 /

Condividi su

Stadio Dall'Ara
di Silvia R. Lolli
Sappiamo che l’Ue contabilizza in termini economici la presenza di Co2 (anidride carbonica) in atmosfera. Per la salute pubblica si dovrebbero contabilizzare anche i costi sanitari per la presenza di polveri sottili, ma ancora il potere è in mano ai produttori di polveri sottili e la pigrizia dei cittadini che usano l’auto, anche quando non servirebbe, non aiuta certo a portarci verso livelli di benessere complessivo migliori. Inoltre non ci risulta che la nostra Ausl stia facendo studi epidemiologici sull’incidenza delle polveri sottili o della Co2, neppure a fisiopatologia respiratoria presso Università e S. Orsola.
Dal documento Ue del 7/11/17 Com (2017) 646 final – Relazione della commissione al parlamento europeo e al consiglio – Due anni dopo Parigi – Progressi realizzati per conseguire gli impegni dell’Ue in materia di clima (prevista dall’articolo 21 del regolamento (Ue) n. 525/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativo a un meccanismo di monitoraggio e comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra e di comunicazione di altre informazioni in materia di cambiamenti climatici a livello nazionale e dell’Unione europea e che abroga la decisione n. 280/2004/CE):

“Si stima che la quota di emissioni mondiali di gas a effetto serra imputabile all’Ue sia diminuita dal 17,3% nel 1990 al 9,9% nel 2012. La sua quota di emissioni di sola Co2 è scesa dal 19,7% nel 1990 al 9,6% nel 2015. Un confronto delle emissioni pro capite dei tre principali gas a effetto serra (Co2, CH4 e N2O) per le tre maggiori economie mostra che l’Ue e la Cina avevano emissioni pro capite nettamente inferiori rispetto agli Stati Uniti…
Nel 2015, il settore Lulucf nell’Ue ha fornito un bacino di assorbimento del carbonio pari a un valore dichiarato di 305 Mt Co2 eq (inclusi terre coltivate e pascoli). Il credito registrato, che rappresenta la differenza tra il valore dichiarato e una base di riferimento, è salito da 115 a 122 Mt Co2 eq tra il 2013 e il 2015. La gestione delle foreste rappresenta gran parte di tale credito…. L’Ue rimane quindi sulla buona strada per non avere debiti dal settore Lulucf ed è molto probabile che rispetterà il proprio impegno assunto nell’ambito del protocollo di Kyoto”.


Chissà però se l’Italia è sulla buona strada rispetto all’emissioni di Co2? L’Italia, con la nostra regione fra le prime, che ha un consumo di suolo elevatissimo, nel biennio 16-17, 0,21%, ma corrispondenti a 456 ettari e si pone al terzo posto, non certo da medaglia. (dati ISPRA ambiente, www.isprambiente.gov.it).
Dai documenti europei sembra che il nostro miglioramento nel meno consumo di Co2 sia stato del 10%. Ma il 2020 è alle porte e dovremmo fare qualche sforzo in più. Magari decidendo di non distruggere i boschi rinaturalizzati… Quanto ci costa la produzione di Co2? Contabilizzarla è difficile, tuttavia dobbiamo sapere che i costi della produzione di C02, cioè quelli dei certificati, vengono pagati da tutti i cittadini, come leggiamo sul documento Eurostat -Statistics Explained con i dati giugno 2017:

“…prezzo energia elettrica è influenzato dal prezzo dei combustibili primari e più di recente dal costo dei certificati relativi alle emissioni di Co2…”.

È un prezzo che quindi non pagheranno i costruttori o gli imprenditori di outlet, ma appunto tutti i cittadini sulla bolletta. Noi abbiamo un sistema che non ci consente di avere un diretto rapporto con costi e benefici dell’energia elettrica, anche quando la produciamo noi con il solare. In Italia passa dal conto energia, cioè dall’oligopolio Enel distribuzione, anche questa modalità che elimina l’idea di concorrenza perfetta si dovrebbe ricordare di più. Comunque abbattere un bosco non aiuterà a rimanere sulla buona strada della diminuzione dei livelli di inquinanti. Si racconta che saranno le nuove tecnologie nei veicoli ad aiutarci in ciò. Sarà proprio vero? I documenti politici dell’EU esaminano tutto ciò, oppure sono come sempre un mero compromesso politico?
Leggiamo infatti un interessante articolo pubblicato dall’International Energy Agency (www.iea.org) del 23 maggio 2018: “Only 4 out of 38 Clean-Energy Technologies are on track to meet long term climate goals”. In particolare è interessante il link: “Tracking Clean Energy Progress” nel quale si mettono in luce: “I progressi fatti nel 2017 nel solar PV, LEDs and EVs, ma non sono percorribili. Gli sviluppi industriali sull’efficienza energetica sono lenti, e i progressi in chiave tecnologica su come catturare carbonio e immagazzinarlo rimangono fermi”.
Ovviamente queste sono considerazioni fatte da un’agenzia internazionale e riguardano i paesi di tutto il mondo. Però è interessante leggere le loro note anche perché sappiamo per esempio che nuove auto francesi-rumene dovrebbero uscire alla fine con un doppio carburante, gol e diesel, quest’ultimo considerato oggi tra i più inquinanti.
Per quanto riguarda il settore dei trasporti questa agenzia però dà il bollino verde alle tecnologie di trasporti elettrici, quello rosso (non in sviluppo) al trasporto aereo e al trasporti con biocarburanti cresciuto poco; dà un bollino giallo (devono essere fatti maggiori sforzi) per le tecnologie usate per trasporti in bus e con veicoli pesanti e per risparmi di carburanti e veicoli vans.
Quindi l’aumento di traffico veicolare che l’operazione programmata dai nostri politici ai Prati di Caprara comporterà darà un primo impatto certo: l’aumento di inquinanti in un’aria già fortemente inquinata (vedi i risultati del recente monitoraggio dei cittadini aderenti ad “aria pesa”) anche per il traffico aereo. Cosa perdiamo dunque? Leggiamo da Bonafede del WWF:

“Un ettaro di bosco metabolizza in un anno oltre 50 tonnellate di Polveri sottili; si può calcolare che 20 ettari di bosco denso ai Prati di Caprera sono in grado di eliminare oltre 1000 tonnellate di polveri sottili dall’aria di Bologna; NB: un ettaro di bosco stratificato e molto denso è molto più efficace di un ettaro di suolo abrogato di un Parco pubblico nel rimuovere gli inquinanti dell’aria; in altre parole un vero bosco fornisce, di fatto, maggiori servizi ecosistemi”.

Ed è sempre una perdita di bilancio, perché dovremmo cominciare a mettere a bilancio i costi per la salute pubblica; dovrà essere fatto sulla diminuzione di polveri sottili ed il conteggio non dovrà riguardare soltanto un anno, ma sarà un valore da mettere su bilanci pluriennali, a reddito di questi. Il valore del bosco in sé poi sarà anche un valore patrimoniale, anche se ci fu risposto, dall’attuale assessore Conte che i bilanci pubblici non vengono fatti come i bilanci privati, con conto economico e conto patrimoniale. Ma siamo ignoranti e quindi ci assumiamo questa responsabilità. E ci ostiniamo a percepire un bosco come un bene patrimoniale del territorio e per la sua comunità, patrimonio che annualmente può essere contabilizzato come un reddito nel senso di minori spese sanitarie e maggiori ricavi per il benessere non solo fisico dei cittadini.
Infatti è ormai abbastanza frequente trovare studi relativi ai benefici psicologici e sociali che un territorio boschivo può offrire ai suoi abitanti: meno episodi di violenza, più felicità…anche i costi della polizia fanno parte dei bilanci pubblici. Non è dunque solo una questione di bellezza del paesaggio, avere a disposizione un bosco di città, vederlo come quando si arriva all’aeroporto di Francoforte e si vede dall’altro un paesaggio naturale notevole. Questa immagine ci tranquillizza, vediamo il bello.
Da tempo in Giappone e in estremo Oriente si pratica la camminata nel bosco come medicina preventiva: lo Shinrin-yoku o il Forest Bathing sono metodi ormai affermati a livello mondiale nell’industria del benessere, proprio per il valore scientifico attribuito alla passeggiata nel bosco. Anche in Italia dal 2012 si è avviato il Bioenergetic Landscape cioè il monitoraggio di piante ed alberi che rileva la relazione elettromagnetica fra la biosfera locale, l’uomo e le piante e che attribuisce ad ogni specie vegetale caratteristiche energetiche in grado di influire in maniera diversa sul nostro organismo. Apprendiamo per esempio che Nieri (ecodesigner) e Mancagli (agronomo) hanno avviato ricerche: nelle masse fogliari delle faggete della Valsesserra ci sarebbe un’elevata capacità di rilasciare alcune sostanze aromatiche vegetali (i monoterpeni) capaci di apportare benefici all’organismo e stimolare le difese immunitarie; questi studi sono stati fatti nell’Oasi Segna, alta Valsesserra.
Perché a Bologna, con l’Università più antica del mondo, non potremmo utilizzare questo bosco rinaturalizzato e fare più ricerche anche in questo campo? Tra l’altro qui ci sono già piante autoctone da tempo scomparse? Non potrebbe essere anche questo un investimento di lungo periodo e mantenendo un patrimonio di 40 ettari in mano pubblica?
Poi a livello di redditività pluriennale non possiamo dimenticare i posti di lavoro che un bosco di città potrebbe attivare e mantenere appunto all’infinito senza il consumo di territorio, anzi valorizzandolo. Un’altra valorizzazione patrimoniale per la comunità, che dovrebbe avere un’altra ricaduta positiva sul nostro PIL, dovrebbe essere collegata al valore educativo (storico, botanico, climatologico, ambientale…) e non solo per le future generazioni.
Organizzare un bosco urbano in modo educativo-turistico (turismo ovviamente consapevole) potrebbe dare redditi annuali che dovrebbero, se ben gestiti, bilanciare i costi dei lavoratori. Pensiamo al “Capilano Park” luogo non solo turistico, vicino al centro di Vancouver in Canada. Qui la presenza di un ponte sospeso ha fatto organizzare la foresta pluviale che esisteva millenni con camminamenti obbligatori fra le piante ad alto fusto, piccoli stagni con pesci, e tanti punti educativi a disposizione di tutti. Una scuola all’aperto (a Bologna e a Casalecchio fu costituita tanti anni fa anche per problemi di salute ed igienici) che sarebbe anche informale.
Sarebbe molto utile per formare ad una nuova cittadinanza, consapevole e responsabile dei bisogni della Terra del futuro e dei suoi organismi viventi ricordando che non esiste solo l’uomo, il più predatore di tutti; tutti potrebbero continuare a vivere molto meglio di oggi.

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati