di Raffaella Bedosti
Il libro Consumo di luogo. Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia Romagna (Pendragon, 2017), a cura di Ilaria Agostini e con la prefazione di Tomaso Montanari, raccoglie una serie di contributi (oltre che della curatrice, di Piergiovanni Alleva, Paolo Berdini, Piero Bevilacqua, Paola Bonora, Sergio Caserta, Pier Luigi Cervellati, Paolo Dignatici, Anna Marina Foschi, Giovanni Losavio, Anna Marson, Cristina Quintavalla, Ezio Righi, Piergiorgio Rocchi, Edoardo Salzano) sul progetto di legge urbanistica della Regione Emilia-Romagna approvato nel febbraio dello scorso anno e divenuto legge, senza sostanziali modifiche, lo scorso dicembre.
Tutti i testi sono focalizzati sulla strumentazione urbanistica comunale (sulla quale si concentrava in sostanza la strategia del progetto di legge) e sugli aspetti in essa presenti attraverso i quali si sarebbe operato “un irresponsabile salto di scala fino alla negazione della stessa disciplina urbanistica” (Lettera aperta ai governanti della Regione Emilia-Romagna del 12 dicembre 2016) e “l’eclissi del ruolo pubblico nella trasformazione delle città e dei territori” (Agostini, Caserta).
Quali gli aspetti che portano i diversi interventi a questa conclusione? Un primo aspetto che viene evidenziato è il fatto che lo strumento urbanistico comunale previsto nel progetto di legge (il Piano urbanistico generale) al quale è attribuita la competenza sulla disciplina dell’assetto edilizio esercita tale competenza, con conseguente attribuzione dei diritti edificatori, limitatamente alle parti di territorio urbano consolidato individuate dal piano stesso per le quali vengono previsti interventi attuabili direttamente (intervento edilizio diretto).
Per gli interventi di “addensamento e sostituzione urbana”, invece, più significativi per le trasformazioni urbane, il Piano urbanistico generale “non può stabilire la capacità edificatoria, anche potenziale, delle aree del territorio urbanizzato né fissare la disciplina di dettaglio”, essendo questa competenza attribuita (“principalmente” – art. 38) agli “accordi operativi”.
Sempre agli accordi operativi è attribuita l’individuazione e attuazione di nuovi insediamenti, per i quali è specificato che gli elaborati del Piano urbanistico generale “non contengono in nessun caso – si legge nel progetto di legge – una rappresentazione cartografica delle aree idonee ai nuovi insediamenti bensì indicano, attraverso apposita rappresentazione ideogrammatica […] le parti del territorio extraurbano, contermini al territorio urbanizzato, che non presentano fattori preclusivi o fortemente limitanti alle trasformazioni urbane e che beneficiano delle opportunità di sviluppo insediativo”.
Poiché oggetto degli accordi operativi sono le proposte presentate da privati, la disciplina pianificatoria del Piano urbanistico generale nei contesti urbani viene esercitata, di fatto, dal Comune in ambiti circoscritti (dove sono previsti interventi diretti) e non sul territorio comunale nella sua interezza. “Il disegno di legge – osserva Losavio nel libro – sottrae ai comuni […] insieme compiti essenziali della pianificazione e capacità di iniziativa nella fase attuativa rimessa esclusivamente ai privati proprietari (attraverso l’accordo operativo che sostituisce i vigenti ma così soppressi piani urbanistici attuativi)”. In altri termini, “è introdotto […] l’espresso divieto della pianificazione urbanistica […] sulle più rilevanti trasformazioni del territorio urbanizzato, rimesse al libero accordo operativo con i proprietari-costruttori.
La stessa urbanistica che, così disponendo, si nega”. Se le disposizioni in oggetto permarranno nel testo che sarà approvato dalla Assemblea legislativa regionale, è ritenuto ipotizzabile che il Governo voglia “sollevare conflitto di attribuzione (per violazione di principi fondamentali della materia e lesione di funzione comunale protetta) davanti al giudice delle leggi” (Losavio) in quanto “Il disegno di legge non esita a porsi in frontale contrasto con l’ordinamento nazionale, e violare con ciò la Costituzione” (lettera aperta sul Manifesto 10 marzo 2017 riportata nel libro).
Un altro aspetto critico evidenziato nel testo riguarda la disposizione relativa agli standard urbanistici differenziati (art. 9) che attribuisce al Piano urbanistico generale la facoltà di individuare ambiti nei quali gli interventi di ristrutturazione urbanistica e di addensamento e sostituzione urbana possono cedere aree per le dotazioni territoriali (artt. 3, 4, 5 del DM 2.4.68) in quantità inferiore non solo a quanto già prescritto dalla Regione fin dalla LR 47/78 (30 mq/ab) ma a quanto previsto dallo stesso decreto ministeriale (18 mq/ab).
La deroga, consentita qualora sia dimostrato che il fabbisogno di attrezzature è soddisfatto all’interno degli ambiti o in aree contermini, è inserita “in attuazione della seconda parte dell’articolo 2-bis, comma 1, del DPR n. 380 del 2001”. Sempre in attuazione del medesimo articolo anche i limiti di altezza e densità del DM 2.4.68 possono essere derogati (“i permessi di costruire convenzionati relativi agli interventi di ristrutturazione urbanistica e gli accordi operativi che regolano interventi di addensamento e sostituzione urbana – si afferma nel progetto di legge – non sono tenuti all’osservanza dei limiti di densità edilizia e di altezza degli edifici”).
Si osserva che l’art. 2-bis del DPR 380/2001 consente alle Regioni di prevedere deroghe al DM e impone che, in questo caso, le Regioni dettino disposizioni specifiche, il ché “non può certo significare, come invece pretende l’art.9, lettera c) del disegno di legge regionale – osserva Losavio – la liberazione da ogni prescrizione di densità, altezza degli edifici e distanza tra loro, la soppressione cioè di ogni limite, di ogni obiettivo criterio ordinativo per l’insediamento edilizio urbano”. L’art. 9 citato prevede quindi nella disciplina del territorio urbanizzato sia la sottrazione alla competenza comunale della regolamentazione a monte di parametri di riferimento per gli interventi di ristrutturazione urbanistica e per gli accordi operativi (“…non sono tenuti all’osservanza…), sia la facoltà del Piano urbanistico generale di disattendere l’obbligo relativo alla quantità minima inderogabile di aree pubbliche richieste dal decreto ministeriale (e anche di concedere a operatori privati l’utilizzo di aree pubbliche destinate a servizi diminuendo quindi la dotazione già esistente) e di ridurre la quantificazione delle aree pubbliche prevista fino ad oggi dalla legislazione regionale e fino ad oggi da quasi 50 anni seguita nella formazione dei piani comunali.
Se si considera che anche le stesse indicazioni relative ai contenuti strategici del Piano urbanistico generale, formulate nella cartografia di piano in modo “ideogrammatico”, sono da specificare – e quindi modificabili – in sede di accordi operativi senza che ci sia variazione al PUG (art 24), si deve concludere che l’elasticità/indeterminatezza delle disposizioni del Piano da una parte e il significativo ruolo della negoziazione (accordi operativi) dall’altra, riducono entro confini circoscritti la funzione pianificatoria del Comune relativa all’assetto urbano: il “DDL – osservano Alleva e Quintavalla – sottrae loro [ai Comuni] ogni capacità di intervento e di progettazione della città pubblica, quella che un piano urbanistico dovrebbe delineare a partire dall’idea che il territorio è un bene comune. Questo sistema […] aggraverà i processi di separatezza delle classi sociali all’interno del contesto urbano”.
Rimanendo nell’ambito della disciplina del territorio urbanizzato, le critiche contenute nel libro si incentrano anche sul corposo ricorso a incentivi volumetrici e premialità varie (Rocchi) e l’esiguità delle disposizioni per i centri storici all’art. 32 (“che nulla dice sull’argomento”, Cervellati), che al comma 5 elenca i principi ai quali si deve conformare la disciplina e subito in sequenza successiva, al comma 6, la possibilità di derogare (attraverso accordi operativi) ai principi appena stabiliti “per motivi di interesse pubblico” (“compare – sottolinea Berdini – il passepartout, e cioè l’interesse pubblico, concetto molto elastico e discrezionale che ha fin qui prodotti infiniti lutti al territorio e al paesaggio italiano”).
Un terzo tema affrontato nel libro è il contenimento del consumo di suolo – che il progetto di legge pone come obiettivo primario – e l’effettiva risposta a tale obiettivo dell’articolato di legge. Il progetto di legge dispone (art. 6) che la pianificazione possa prevedere un consumo di suolo complessivo all’esterno del perimetro di territorio urbanizzato “pari al tre per cento della superficie del territorio urbanizzato […] esistente alla data di entrata in vigore della […] legge”. Poiché, in sintesi, gli elementi di riferimento per il consumo di suolo sono:
- la definizione di territorio urbanizzato, alla quale si rapporta il 3% (sono inclusi, oltre alle aree edificate con continuità e lotti interclusi, anche le aree di completamento del piano vigente contermini al territorio urbanizzato e i lotti inedificati di piani urbanistici attuativi in corso di attuazione),
- il peso degli interventi non costituenti consumo di suolo (art. 6) (lavori e opere pubbliche di interesse pubblico; interventi di ampliamento o nuova costruzione riguardanti attività economiche già insediate; insediamenti produttivi di interesse strategico regionale o individuati dal DPR 194/2016; parchi urbani; edifici rurali e recupero di edifici ex rurali; costruzione all’interno del perimetro di territorio urbanizzato o in aree contigue di edifici sostitutivi di edifici rurali demoliti), ai quali va aggiunta la quota di interventi esterni al perimetro di territorio urbanizzato ai quali corrisponde la “desigillazione” di aree all’interno del perimetro (art. 5),
- il peso degli interventi non computati nella quota massima consentita (artt. 6 e 4) (interventi previsti dal piano previgente: interventi diretti, strumenti attuativi approvati e accordi con i privati stipulati; strumenti attuativi e atti negoziali adottati nel periodo intercorrente tra l’entrata in vigore della legge e l’avvio del procedimento di approvazione del PUG).
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Questo articolo è stato pubblicato dal sito Casa della cultura il 15 marzo 2018