Roma: il Movimento 5 Stelle corre verso il disastro

8 Settembre 2016 /

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Virginia Raggi
Virginia Raggi

di Pierfranco Pellizzetti
Nonostante la faccina simpatica da elfo del Signore degli anelli, Virginia Raggi non sembra in grado di reggere lo scontro con le forze di Mordor – l’orda di orchi guidati dall’urukhai da Circolo Canottieri Roma Giovanni Malagò, creata con la melma del generone capitolino da Sauron Caltagirone – perché non c’è nessuna compagnia dell’anello a farle da scorta, bensì una canea di militanti-Gollum usciti da vari anfratti, e l’amato Daniele Frongia più che il principe guerriero Aragorn si direbbe un cavalier servente da tè delle cinque. Il raggio magico ha già le pile scariche.
Nel frattempo il promesso alleato Alessandro Di Battista, destinato al ruolo di re Théoden, abbandona Rohan per passare a un altro romanzo: “i diari della motocicletta”, in cui recita la parte di Che Guevara alla vaccinara. Scherzi a parte, potremo pur prendere per buona la narrazione delle vicende che vanno consumandosi negli anfratti del Monte Fato dietro piazza del Campidoglio, secondo cui oscure congiure tessute dalle forze del male insidiano i nostri eroi ed eroine. Indubbiamente. Fermo restando che gli eroi e le eroine si stanno rivelando ben poco eroici, bensì maldestri e di una perfino insospettata fragilità.

Segno che le modalità con cui è stato selezionato il casting lasciavano a desiderare. Ancora una volta. Insomma, non è sufficiente l’adesione rituale ai precetti catechistici del Movimento (uno solo come esempio: “meglio onesti che competenti”) per formare personale dirigente capace di tradurre l’indignazione in forza di governo. Genuflessione all’ortodossia – del resto – sempre sospettabile di essere acritica e gregaria, per non dire opportunistica e carrieristica: scelta di facciata più che interiorizzazione di un nuovo sistema di valori.
Non a caso la sindaco Raggi, formatasi nell’ambiente cinico e affaristico di studi legali al servizio di quello che eufemisticamente potremmo definire il “rampantismo amorale di fine Novecento” – leggi Cesare Previti e dintorni – evidentemente non è in grado di percepire la totale incongruità degli emolumenti d’oro erogati ai consulenti-assessori o l’intollerabilità di tecnostrutture già contigue all’alemannismo/polverinismo. In effetti quello è il milieu in cui è cresciuta professionalmente, ed è abbastanza normale che trovi normale continuare a bazzicarlo. I cibi che hai mangiato, come gli zoppi con cui hai camminato, lasciano tracce indelebili nella mentalità. Perbacco. E pensare di resettare tutto questo con qualche slogan dello Staff o qualche Vaffa di Grillo è di una ingenuità disarmante.
Sicché, giunti davanti al piatto ricco del potere non è a sua volta stupefacente che si scatenino i protagonismi di chi si ritiene un fenomeno per investitura dei Padri Fondatori o di qualche centinaio di amichetti via WEB; al limite che – in assenza di categorie politiche un po’ meno vaghe (da “uno vale uno” alla sacralità della crowd-democracy in rete) e relativa formazione – ricompaiano perfino antiche e sempre nuove pulsioni nepotistiche. Magari nella variante amici degli amici, di cui va difeso il posto o promosso l’inserimento in qualche organigramma istituzionale.
Dovrebbe fare intanto riflettere supporter fiduciosi e suscettibili militanti il dato che a Torino la sindaco Chiara Appendino governi con ben altro piglio. E questo dipende pure dal fatto che la determinata signora arriva alla carica con un curriculum professionale e sociale molto diverso; di cui bisognerebbe tenere conto anche in chiave prospettica. Mentre la smarrita sindaca-elfo romana sta mettendo a repentaglio il progetto di risanare l’intera Terra di Mezzo grazie allo spettacolo offerto dalla “NON compagnia dell’anello” che si è scelta. Piuttosto, un’armata Brancaleone.
Questo articolo è stato pubblicato da Micromega online il 5 settembre 2016

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