di Federica Ginesu
Il costume è quello del giorno della festa. Il corpetto bianco con le maniche a sbuffo, la lunga gonna a pieghe ricamata di fiori e il velo, a incorniciare un viso fiero. La sarda Ninetta Bartoli, prima sindaca d’Italia, si fa ritrarre così, nell’abito della tradizione, da solenne investitura. Una mano appoggiata sul fianco e occhi che guardano lontano, a quella scelta che nessuna prima di lei aveva fatto: governare il suo piccolo paese.
Ninetta Bartoli nasce il 24 settembre 1896 a Borutta, un piccolo paese del Meilogu, provincia del Logudoro, in una famiglia nobile molto agiata. È una privilegiata e come tutte le giovani ragazze di buona famiglia viene mandata in collegio a Sassari nell’Istituto Figlie di Maria, la scuola più esclusiva della città. Qui Ninetta incomincia a spiccare per la sua diversità. Odia le arti “femminili” e preferisce, al focolare, l’azione. Incrocia la sua vita con padre Giovanni Battista Manzella, leggendario missionario. Si impegna così, assiduamente, in parrocchia sempre pronta e disponibile nelle attività di assistenza a malati e poveri.
Quando torna a Borutta ha già deciso. Sua sorella si sposa e lascia il paese, lei testardamente resta e decide di non sposarsi.
Ama profondamente la sua terra, si sente legata a una strana magia: quell’ancestrale incantesimo che solo le radici possono creare. Ninetta è consapevole delle sue capacità, non ha bisogno della protezione di un uomo per realizzare quello che ha in mente. Sa di essere fortunata, di esser grado di costruirsi il proprio cammino scegliendosi da sola il destino.
Rifugge le aspettative della sua famiglia che l’avrebbe voluta sposa e, con grande intraprendenza, plasma la sua vita in autonomia .
“Non divenne la moglie di, né recitò la parte della zitella del paese, triste della propria solitudine, gelosa delle proprie ricchezze o derisa dai suoi compaesani per come gestiva la sua libertà. Ninetta volle dedicarsi piuttosto al suo paese”
Scrivono Oscar Gaspari, Rosario Forlenza e Santi Cruciani nel libro “Storie di sindaci nella storia d’Italia” (Donzelli editore).
Eredita il patrimonio di famiglia e diventa per tutti “la signorina Bartoli” volonterosa e impegnata, attiva e vulcanica. Dal confronto continuo con amicizie importanti, come Laura Carta, futura moglie di Antonio Segni, nascono grandi idee che solo una donna poteva realizzare. In una zona dove in tanti erano pastori, lei prende l’iniziativa: fonda la Latteria del Meilogu e diventa una vera istituzione presiedendo Le Dame della Carità: potente associazione di beneficenza.
In quegli anni inizia la sua pratica politica tra organizzazioni cattoliche e assidue frequentazioni coi vertici della Dc locale. Nel frattempo la Sardegna è investita della guerra. La resistenza delle donne e il loro indiscutibile contributo durante i periodi bellici, dopo lotte e battaglie, non può essere più ignorato e viene finalmente riconosciuto.
La Storia segna così l’esperienza di vita di Donna Ninetta e le apre quell’orizzonte che lei aveva visto prima ancora che potesse essere realizzato.
Nel 1945 le donne ottengono il diritto di voto e nel 1946 grazie al decreto De Gasperi-Togliatti ottengono la cittadinanza attiva: possono essere elette.
Per Ninetta è l’occasione che aspettava e che aveva preparato da una vita: la possibilità di scendere in campo, migliorare il suo paese e aiutare la sua gente. A 50 anni è una donna temuta e venerata. Solida come la dea madre, immagine di stabilità e certezza, incarna sia l’appartenenza, che la nuova figura che rompe gli schemi. La Dc appoggia Ninetta incoraggiando il suo desiderio di essere artefice del cambiamento. Ninetta, dal canto suo, sa di non avere rivali, forte dell’esperienza della latteria è certa di conquistare anche i voti maschili. È pronta a realizzare il suo progetto, non può più aspettare.
Alle elezioni dell’Aprile 1946, si presenta come candidata sindaco. Con l’89% delle preferenze, conquistando 332 voti su 371, sbaraglia gli uomini avversari e viene eletta. È votata a furor di popolo, un vero e proprio plebiscito: diventa la prima sindaca della storia dell’Italia repubblicana.
È mater familias che sulla sua carrozza gira tra Borutta e Sassari per conoscere sempre meglio il territorio che amministra e capire come intervenire per migliorare le cose. Fa costruire l’acquedotto, il sistema fognario e porta l’energia elettrica in paese: una rivoluzione che cambia per sempre Borutta, trasformandola da un povero paese fossilizzato nel passato a un moderno centro civilizzato. Grazie a lei si edificarono case popolari e la scuola. Anche i ruderi della chiesa e del Monastero di San Pietro di Sorres ritornarono all’antico splendore. E se le casse comunali non consentivano di coprire le spese, lei stessa non esitava ad attingere al suo patrimonio pur di realizzare le opere che aveva in mente.
Governò Borutta per 12 anni fino al 1958, quando il partito decise di non appoggiarla più. Ninetta smise di far politica, ma rimase sempre fedele a se stessa, attiva e impegnata.
Le donne del “continente” combatterono partigiane la guerra, ma non riuscirono subito a conquistare un primato che appartiene all’isola di Sardegna. Insularità che non è isolarità, ma risorsa, fa parte di noi, di un passato prezioso che racconta. Da scoprire, da conoscere.
“L’insularità – scrive Caterina Limentani Virdis nell’opera tributo “Insularità Percorsi del Femminile in Sardegna” (ed.Chiarella) – è una qualità che ha carattere strutturale in ciascuna di noi e in ciascuna delle donne sarde, presenti e passate: è un privilegio. Non è isolamento, ma forma peculiare di cittadinanza tutta sarda e tutta femminile che consente o ha consentito nel pubblico e nel familiare la realizzazione di importanti processi di identificazione a dispetto di comode griglie comportamentali”.
Le linee del vero matriarcato sono qua, tra quello che donne come Ninetta Bartoli hanno fatto: dare compimento reale a un ideale, nella vera politica agita con spirito di servizio e con voglia di risolvere problemi.
La percentuale delle donne che guidano un’amministrazione comunale è ancora troppo bassa, appena l’11,8% del totale (fonte: Ministero dell’Interno 2013): un dato che non incoraggia, ma che comunque non può far dimenticare la soggettività di donne che si sono messe in gioco e hanno raggiunto con volontà il loro risultato, segnando una strada che tutte, grazie a loro, possono percorrere.
Qual è il patrimonio che i sindaci donne, come Ninetta Bartoli, lasciano? “Ci sono dei tratti comuni – scrive Maria Maniscalco nella rivista Mezzocielo, magazine di politica, cultura e ambiente realizzato da donne – nel modo di amministrare delle donne: legalità e difesa della dignità delle istituzioni come prerequisito, l’attenzione della persona con l’estensione dei servizi socio-assistenziali, la salvaguardia dell’ambiente, la valorizzazione della scuola e della cultura per combattere ogni tipo di mafia e sottosviluppo”.
L’esperienza di questa progenitrice è ancora attuale: è passato vivo che ricorda ciò che siamo, cosa abbiamo fatto e cosa possiamo fare.
Questo articolo è stato pubblicato da LaDonnaSarda.it il 6 novembre 2014