di Dimitris Argiropoulos
La perdita di Alain Goussot non è la creazione di un vuoto. La sua presenza fra di noi continua attraverso le sue parole, dette e scritte, i suoi insegnamenti, le amicizie vissute nei corsi, negli interventi educativi, nel territorio e nei legami più intimi con tanti di noi, colleghi, compagni di strada, interlocutori… di ricerche, questioni, problemi, indirizzi di studio. Condivisioni che attraversano gli anni della sua presenza a Bologna e che continuano ad esserci e a interessarci.
Per evocare la sua presenza, parto da voi (corsisti Tfa sostegno) e dai messaggi che mi avete indirizzato in questi giorni. Da uno in particolare, poiché nasce dalla nostra ricerca, il nostro interrogarsi sui mediatori utili nella scuola, e arriva a diventare un tema collegato ai nostri rapporti e a segnare in un certo modo la presenza di Alain, ora che non c’è, contribuendo a non farla diventare una assenza.
Nei nostri incontri e lezioni, lo sforzo comune di pensare le mediazioni ci ha portato ad evocare immagini di mani che si stringono, i ponti, i delta dei fiumi, la meccanica degli ammortizzatori dell’auto, il cerchio e la sua periferia, l’istmo (soprattutto di Corinto) e ora la Corda tesa che porta i bambini appesi ad una carrucola e accompagnati ad attraversare il fiume Panaro per poter arrivare a frequentare la loro scuola.
Sicuramente, Alain, l’avrebbe considerata e ammirata questa foto, avrebbe pensato e scritto evocazioni ed emozioni sul contesto del territorio e della scuola, sicuramente si sarebbe lasciato trascinare da qualche ricerca per capire se qualcun altro ha scritto cose e cosa… sicuramente avrebbe contribuito a mantenere la Corda tesa, dando continuità ad una funzione di mediatore trasversale nei tempi e nel pensare la corda tesa dell’importanza dell’educazione.
Sicuramente ci saremmo lasciati con una “litigata”, cercando di capire se la donna della foto, che accompagna i bambini appesi a scuola, sarà stata una madre o la loro insegnante. Sicuramente gli avrei proposto, anche per fargli piacere, che forse si trattava di una partigiana della zona (Appennino modenese) in attività di accompagnamento per contribuire alla realizzazione della Costituzione italiana.
La Corda tesa, è il mediatore che ci permette di pensare Alain e le cose che ci ha lasciato. La corda tesa diventa Intesa, in – tesa, Interesse convergente e accordo per attraversare con dignità e curare l’incontro in educazione e nelle amicizie. Diventa inter – essere per potere vedere, intra – vedere le cose del nostro mondo, esercitando lo sguardo in direzione, di causa e documentata, forse “ostinata e contraria”, nello stare con chi è disegnato senza possibilità, gli ultimi.
La passione educativa, dello storico Alain, nasce in Piazza Giovanni da Verrazzano dove ci conosciamo e lavoriamo come educatori gestendo una Comunità residenziale (coop CSAPSA, fine anni Ottanta).
Ci accorgiamo che non sappiamo cosa fare e i nostri ragazzini sono “duri” provengono dalle famiglie di migranti italiani del sud, portano con loro esperienze traumatiche e difficilmente si lasciano “imbastardire” dagli altri e … cercano di proteggerci. Proteggere noi educatori da una realtà che non conosciamo. Avevano capito che non conoscevamo, e per questo non capivamo, che cosa fare con loro e con loro nelle periferia e nella città di Bologna. Certo i progetti c’erano, le carte ben scritte descrivevano azioni e mansionari, le relazioni arrivavano puntualmente all’USL ma non c’era l’intesa (la corda tesa) e non si sapeva rispondere ad una domanda molto amata da Alain, il “che fare?”
Eravamo educatori nominati e spaventati dal groviglio e dalla quantità delle questioni affrontate e che richiedevano risposta. Personalmente avevo una certa destrezza con il marciapiede, “perdevo” tempo conoscevo e mi facevo conoscere in strada. Alain leggeva molto, “perdeva” tempo sui libri e conosceva bene la storia, la storia del “900 e i suoi elementi particolari. Siamo diventati amici perdendoci in strada e nei libri. Ho letto molto, grazie ad Alain e da parte sua ha imparato molto dei movimenti in strada ascoltandomi. Si rievocava la storia e la Rivoluzione Francese. Alain era attratto da Jean-Jacques Rousseau, a me affascinava Danton… discussioni ma anche liti per riscoprire e citare Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre, l’incorruttibile, oppure Rigas Ferraios rivoluzionario greco e pan balcanico.
Abbiamo riletto il Poema pedagogico di Makarenko e ci siamo “confrontati” pesantemente sulla soggettività individuale dei contadini e la perdita di questo bisogno “alienante” nel processo di industrializzazione …. Per litigare poi sulla pronuncia del nome … si dice Anton Makarenko, oppure Antòn Makarenkò. Alain metteva l’accento all’ultima sillaba anche per pronunciare il nome di Lenin che diventava Lenìn… ho cominciato a chiamare Makarenko, Makarenkopoulos, per un po’ mi ha tenuto il muso e poi ha smesso, anche io ho smesso.
Si studiava per cercare di capire con i nostri ragazzi descritti come soggetti a “rischio di devianza” e siamo arrivati, interessati e in accordo, alla figura di Gavroche e ci siamo ricreduti dando ascolto ai nostri, i ragazzi della comunità. Nascono amicizie profonde e ricordo il rapporto di Alain con Ruggero Baraldi, morto giovanissimo. Alain ne parla alla prefazione del suo libro, Pedagogie dell’Uguaglianza, Edizioni il Rosone Foggia 2011. Negli anni “90 Alain fonda l’associazione “Gavroche” cercando di mettere insieme altre solitudini nelle sfide del dopo la “caduta del muro”
Dall’ascolto parte la passione per i contesti più grandi ed estesi e forse per questo inavvicinabili, forse ritenuti immodificabili… In ogni nostra uscita, e ogni volta che si incontrava la Polizia, i nostri adolescenti, esperti del territorio, si fermavano e alzavano preventivamente le mani, segno di resa e di “buona condotta” nonché di “riconoscimento” verso quelli superiori della “pula”.
Ci invitavano a fare altrettanto e a nostra volta chiedevamo loro di smetterla… Ovviamente gli agenti, quasi sempre meridionali, scrutando gli accompagnatori dei ragazzi, erano più interessati alle nostre persone che a loro. Per scoprire che si trattava di “due che si dichiarano educatori, uno belga e l’altro greco. Il belga vestito di loden color verde pino e con il cappello Besilo Coppola, e il greco”.
Puntuale il fermo per accertamenti, sempre indirizzato a noi, “favorisca i documenti”, “Permesso di soggiorno”. È su queste due espressioni, emblematiche e ripetute, che nasce la passione per l’Europa, continente in divenire per la convivenza, la mescolanza, la liberazione dalle appartenenze strette. È da queste espressioni che nasce la passione di Alain per l’intercultura e la transculturalità. Passione e sogno. Europa come Buona Apertura attraverso la reciproca conoscenza. Apertura alla conoscenza.
E stato sempre un credente, si dichiarava cattolico. L’ho visto stare “sospeso” in momenti di una certa importanza e spesso, chiedendogli se aveva qualcosa, mi rispondeva che pensava… e, timidamente, che stava pregando. Lo lasciavo pregare cercando di rispettare la sua “sospensione”. Ha avuto e maturato una grande e importane amicizia con Pietro Barcellona, si sono frequentati e discusso molto. Ha recitato con i miei figli, spostandoli dai miti di Esopo, il “Padre Nostro” Cercava nella figura e negli insegnamenti di Gesù quella prospettiva rivoluzionaria, necessità impellente del nostro mondo, spessi i suoi riferimenti a Tolstoj e a Dostoevskij e saggiamente orientato in quella irriducibile laicità che segno il suo “incontro” con Raffaelle Laporta “La laicità è un accordo reciproco di libera convivenza”.
L’ultima nostra condivisione è stato il testo “La lotta per un linguaggio colto” di Lev Davidovic Trotzky, 1923 dalla “Pravda”, 16 maggio 1923 (ora in Leon Trotsky, La vita è bella, Chiare lettere, 2015), libro curato da David Bidussa edito in occasione dei 75 anni dalla morte di Trotzky, ipotesi di lavoro da meditare e sviluppare come una delle chiavi per rileggere la sconfitta del comunismo noventesco.
Alain, citava: “Il linguaggio scurrile e la volgarità sono un lascito della schiavitù, dell’umiliazione e della mancanza di rispetto per la dignità umana, la propria e quella degli altri” e ancora “Voi supponete che un uomo abbia il diritto di plasmare gli altri uomini come egli stesso vuole. Dimostratemi pure la legittimità, di questo diritto, ma non con l’argomentazione che l’abuso del potere esiste ed è esistito da sempre. Non siete voi i querelanti ma noi, e voi dovete rispondere”.
Ho cercato di ragionare con Alain sul lavoro di Giavanna Axia, non abbiamo avuto tempo… ci siamo contrapposti e gli ho risposto ad Alai con Alain, Emile-Auguste Chartier: “i modi volutamente gentili non sono gentilezza. Per esempio, un uomo realmente beneducato potrà trattare duramente e perfino con violenza una persona spregevole o cattiva…” da Alain, Propositi di felicità, edito da Elliot, 2013. Alla fine mi è scappata una espressione “volgare”, “che Trosky!” Mi prende la rabbia per la sua “perdita” e la ripeto spesso.
A metà degli anni novanta, un pomeriggio tranquillo e forse a corto di citazioni mi chiese all’improvviso cosa facevo il giorno 11 giugno 1984. Non era tranquillo e il suo viso mostrava apprensione. Una strana inquietudine. Ho risposto che non ricordavo. Si sorprese. Gli ho risposto che, vista la situazione, forse mi trovavo al mare, davanti ad un bicchiere, forse accompagnato, pienamente in situazione di ozio. All’epoca mi preoccupavano ancora domande di questo tenore: cosa facevi il tal giorno? Mi spiegò che il giorno 11 giugno 1984, morì Enrico Berlinguer e lui tornò a casa e si mise a piangere con Patrizia, sua moglie. E da questo racconto iniziò a spiegarmi la storia del PCI e dell’Emilia. Mi fece amare Gramsci.
Si presentava sempre, mostrando le sue origini. Il suo accento francese diventava più pronunciato ogni volta che si riferiva a sua madre, immigrata trevisana e suo padre parigino e il suo zio materno partigiano caduto per la liberazione del Paese. Nasceva ancora una conversazione sui nonni e le nonne. Tutti e due avevamo e abbiamo affetti lontani e i nostri figli e figlie hanno vissuto e goduto poco e in distanza i nonni. Riscopriamo Victor Hugo, L’arte di essere nonno, pubblicato nel 1877 in Francia e in Italia in una sola edizione che risale al 1929, ora di nuovo reperibile edito dalle edizioni, Le ombre, 2013…
“Ah! i figli dei nostri figli c’incantano, sono delle giovani voci mattutine che trillano. Sono nella nostra lugubre abitazione il ritorno delle rose, della primavera, della vita, del giorno! Il loro riso ci fa spuntare una lacrima sulle pupille e fa trasalire le pietre della nostra vecchia casa; il loro sguardo radioso disperde i terrori della tomba semi-aperta e degli anni gelidi e gravi; essi riconducono la nostra anima ai primi anni; fanno riaprire in noi tutti i nostri fiori secchi; e ci ritroviamo dolci, semplici, felici di nulla; il cuore sereno s’empie di un’onda aerea; vedendoli si crede veder sbocciare se stesso; sì, diventar nonno, è ritornare all’aurora” e Alain ha avuto splendidi genitori e ha radiosi figli e anche un bellissimo nipote.
Nel riscoprire e ritornare e tornare ancora a Victor Hugo si incontra, a modo, Margherita Zoebeli nella prassi (Buona e Amabile) del suo saper soccorrere le persone, i singoli della città di Rimini, nei mesi immediatamente dopo la Liberazione della città ad opera delle truppe alleate in particolare greche. Il suo dispositivo, manufatto di legno dalle sembianze di un armadio, che si trasforma in tavolo e sedie e in letto, permette nella città distrutta di ricostruire la famiglia, i legami… diventa l’armadio mediatore per ricostruire la famiglia e la comunità.
Questo mediatore è stato scelto per creare resistenza agli sgomberi subiti dalle famiglie rom del lungo Reno a Bologna (anni 2000) Il sindaco sindacalista dichiarava che a Bologna non occorreva la mediazione e ordinava di implementare continuamente gli sgomberi. Ho chiesto ad Alain notizie e aiuto bibliografico, non ha potuto aiutarmi. Conoscevo gli scritti di Margherita Zoebeli. Ho scoperto la passione di Alain per la Resistenza. Io, noi, rigorosamente pochi, sottraevamo materiale domestico, ovunque reperito, appassionatamente, stoviglie e generi da cucina, dando seconda vita alle cose, ridando vita allo scarto, ripristinando l’utilità del mobilio per la casa.
Tutto è stato donato alle famiglie sgomberate, come tutto è stato insegnato: piste e modalità di reperimento, con meticolosa e rigorosa attenzione. Centotrentasei famiglie di rom rumene hanno potuto avere il materiale, non avevano la casa ma hanno potuto avere e hanno avuto; piatti e posate, pentole, sedie, tavoli e altro materiale… come se (Albert Camus) avessero la casa. Hanno potuto resistere alla violenza istituzionale e alla fine hanno avuto pure una abitazione. Alain non ha partecipato direttamente all’azione, non sapeva guidare la macchina e non aveva la patente, però ha partecipato, era presente e contento, ha tenuto la conta ed è stato coinvolto con la promessa del silenzio. Ha sofferto.
Ha sofferto non poter dire e soprattutto non poter scrivere… ma si incantava a vedere che questa mediazione – resistenza funzionava. Intraprese il gusto del silenzio. Una leggera passione… Una sera mi telefonò e mi chiese “a che numero siamo?”. Risposi, “siamo a 68″… “dai non prendermi in giro”… eppure era così e siamo riusciti ad arrivati a 136. Per Alain è stato importante resistere alla resa, alla impossibilità.
Scrive per voi, corsisti di Tfa – sostegno, Coltivare la capacità di sognare:
Oggi come oggi tutti vi dicono che bisogna essere realisti. Manifestare, indignarsi, criticare il conformismo del pensiero unico dilagante, opporsi ai poteri forti (quelli veri della finanza), pensare che sia possibile un altro mondo più giusto e umano, rigettare il carrierismo degli opportunisti della professione o dell’accademia, schierarsi con i vinti e gli ultimi, amare, essere solidale con i sofferenti, dare senza chiedere nulla in cambio, mettere i principi etici al centro dell’azione umana e politica, sarebbe vecchio e non adeguato al mondo moderno della competitività e della competenza tecnica.
Sembra che l’utopia e la speranza in una rivoluzione culturale delle coscienze per cambiare le strutture d’ingiustizia in strutture di giustizia sia qualcosa d’irrealistico e fuori dalla storia che non avrebbe più un futuro se non quello della società attuale con la trasformazione degli esseri umani in nuovi schiavi.
Eppure più forte di tutte le strutture e di tutti i fatalismi c’è l’anima dell’uomo e il suo potere d’immaginazione, la sua capacità di sognare e di continuare a fare vivere lo spirito d’utopia, quello spirito che sorprende sempre i governanti e i potenti; lo spirito d’utopia che vive nell’infanzia, nell’adolescente che rinasce e scopre le grandi passioni, nello sfruttato che si mette in piedi, negli innamorati, nella solidarietà tra le persone, nel malato che combatte per la sua dignità, nell’educatore che crede ancora che l’educazione è emancipazione e non sono tecnica.
L’epoca del cinismo pragmatico è il mondo morto dei morti vivi che tentano di addormentarci, sta a noi ascoltare dentro di noi e tra di noi lo spirito d’utopia e farlo vivere in ogni momento!
Personalmente non so fare memoria per un amico che ci ha lasciato pochi giorni fa. Mi è presente. Sento il bisogno di piangerlo e non di condividerlo. Mi è presente e vi presento le sue parole, indirizzate e confidate per voi. Che fare? Convincere, e in questo trovo molto le tracce di Franco Basaglia, Convincere. Con – vincere! i corsisti, gli educatori di
- Rivedere, riflettere e rivisitare con rigorosità il proprio lavoro.
- Aggiornarsi, studiare e ricercare l’esperienza degli altri, mettere insieme.
- Resistere, perche tutti possono.
La presenza di Alain consiste nel tenere la corda tesa e aver cura di non allentarla e neppure spezzarla.