Bologna, la città dolente: urbanistica e infrastrutture nella crisi

23 Ottobre 2013 /

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di Sergio Caserta
Ci sono alcuni argomenti che quando sono sollevati, suscitano nella classe dirigente politica e amministrativa petroniana, una reazione allergica come l’orticaria. Si tratta essenzialmente delle opere pubbliche e dei progetti infrastrutturali, oltre che, negli ultimi anni, anche dei progetti misti pubblico-privato che sono entrati, attraverso l’urbanistica contrattata e il project-financing, nel cielo empireo dei dogmi inviolabili, a prescindere dalla loro validità e utilità e dalle ricadute che generano: di solito, immediati guadagni per i privati, costi riflessi e molte volte aggiuntivi, o vere e proprie “rimesse” per il pubblico.
Bologna, da questo punto di vista, è stata, come per tante altre cose, nel bene e nel male, un vero e proprio laboratorio, si potrebbe perfidamente definire un gabinetto del dott. Caligari, per parafrasare la favola cinematografica del regista Wiene che gioca molto tra realtà, sogno e incubo. Il suo sviluppo urbanistico è stato la contraddizione palmare tra enunciazioni e prassi: la sprawl, ovvero la dispersione abitativa cresciuta a ritmo incessante, ha creato una congerie edilizia, laddove i piani, soprattutto a livello provinciale, segnatamente il PTCP, avevano disegnato uno sviluppo lineare lungo gli assi dei collegamenti del Servizio ferroviario Metropolitano, non a caso l’infrastruttura meno amata dai vertici istituzionali.
Metrò, Civis, Peoplemover e Passante nord, sono i progetti – patafisici quasi metafisici – che le menti degli amministratori succedutisi in quest’ultimo quarto di secolo hanno prodotto per dare soddisfare la fame di mobilità che una città esigente e complessa richiede, per la sua caratteristica di polo d’attrazione metropolitano, regionale, nazionale ed anche europeo.

Oggi che “ci si mangia le dita” per la perdita del Motor show, in fuga verso Milano, si dovrebbe fare mente locale su quanto ha inciso nella curva discendente della gloriosa Fiera, tra le altre cause, la perenne congestione stradale e autostradale e la mancanza di collegamenti su ferro con il centro fieristico, l’inadeguatezza dei servizi connessi, alberghi e ristoranti in primo luogo, ai nuovi standard qualità-prezzo che si ritrovano in altre realtà, non solo in Europa ma anche in Italia e perfino in regione.
Forse questa è veramente l’occasione buona per riflettere su un modello economico, urbanistico e infrastrutturale di città che segna fortemente il passo, per non usare il termine, ancor più duro ma forse appropriato, di declino. Nessuna classe dirigente al potere è proclive all’autocritica, non piace scavare nella memoria per risalire alle origini dei problemi dell’oggi, non ho mai, dico mai, sentito da uno dei leader più in vista in questo periodo, una frase come: “Ho sbagliato valutazione…”. Nemmeno a pensarci, tutto è sempre stato fatto per il meglio.
Al contrario, inducono seriamente a riflettere le autocritiche, queste si molto autorevoli, di alcuni tra i maggiori protagonisti dell’élite professionali: gli architetti Felicia Bottino e Pierluigi Cervellati, con contenuti diversi Mario Cucinella e l’insigne Paolo Portoghesi, che hanno iniziato un serio dibattito sui limiti e gli errori delle scelte strategiche e specifiche di pianificazione e governo del territorio metropolitano, in particolare per le innumerevoli varianti edilizie che in questi venticinque anni, si sono realizzate a Bologna e in Emilia Romagna, determinando uno degli indici più elevati di consumo di suolo in Italia.
Si potrebbe considerare un’autocritica tardiva, lacrime da coccodrillo, ma c’è anche il detto “meglio tardi che mai”. È sorprendente, tuttavia, che questo dibattito pubblico, iniziato con clamore sulla stampa cittadina, si sia rapidamente sopito, senza una partecipazione significativa da parte delle personalità politiche: è la conferma dell’imbarazzo ma forse, soprattutto, del disorientamento e dell’assenza di idee che non siano il riproporre purtroppo lo stesso schema, come non poche vicende stanno a dimostrare.
La crisi invece può un’occasione per cambiare l’atteggiamento culturale e la predisposizione ad allungare lo sguardo oltre il quotidiano, per trovare soluzioni coraggiose e innovative, mentre far scorrere il tempo aspettando passivamente che passi il peggio, può essere l’anticamera della fine.
Ora c’è un’occasione importante per un confronto di opinioni qualificato: venerdì 25 ottobre, alle ore 17.30, presso l’aula A del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione, sede di via Azzo Gardino 23, si discuterà del libro dell’architetto Vezio De Lucia “Nella città dolente” (ed. Castelvecchi) che affronta con lucida passione la storia urbanistica del nostro sfortunato Paese, dai tentativi riformatori del ministro Sullo agli albori del primo centrosinistra, sconfitti dalla potente lobby della rendita, ai disastri edilizi, architettonici, ambientali e umani che hanno stravolto il nostro bel paesaggio fino all’era berlusconiana.
Nel libro De Lucia fa un raffronto crudo tra “L’esempio Bologna” degli anni ’60-’70 e la “Bologna dov’era e non com’era”, illuminando le mutazioni che hanno contaminato una delle realtà meglio amministrate in Italia. All’incontro interverrà anche l’architetto Pierluigi Cervellati, oltre al fisico Claudia Castaldini di Legambiente e al professor Gino Malacarne, Vice-presidente della Scuola di Ingegneria e Architettura dell’Università di Bologna, sede di Cesena.

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